di Paola Fucilieri – Milano. Le indagini – un doppio perfetto tra la Squadra mobile e la Scientifica – si sono concluse nel «match» del Dna che ha chiuso il cerchio. Così ieri, dopo nemmeno tredici giorni, aveva già un nome quello che all’inizio sembrava un ago nel pagliaio, cioè lo stupratore che il 9 agosto ha abusato di una ragazza di 25 anni. Lei lavora come inserviente al San Raffaele e quella mattina, proprio nelle vicinanze dell’ospedale, è finita nelle grinfie di un egiziano di 31 anni arrivato in Italia – a Lampedusa e a bordo di un barcone – solo i primi di giugno e richiedente asilo.
Stuprata da un migrante
Lo stupro è avvenuto alle 6 del mattino alla periferia nord-ovest di Milano, nell’area di un cantiere dove si stanno facendo lavori alla fognature e lungo una stradina sterrata che si trova tra la fermata della metropolitana di Cascina Gobba e l’ospedale, utilizzata da alcuni dipendenti come scorciatoia. L’uomo sorprende la ragazza alle spalle e la trascina in un avvallamento accanto a un piccolo canale dove, dopo averle rifilato un paio di schiaffi ben assestati, abusa di lei, quindi scappa.
La giovane, sconvolta, abbandona lì i suoi effetti personali e corre verso l’ospedale, cercando aiuto in lacrime tra le braccia delle colleghe che, protettive, la accompagnano alla clinica Mangiagalli. Dopo la visita e i controlli di rito viene avvertita la Procura, in particolare l’aggiunto milanese Letizia Mannella e il pm Rosaria Stagnaro del pool fasce deboli.
Com’era accaduto circa un anno fa (era il 15 luglio) per la donna violentata sulla Montagnetta di San Siro, la macchina dell’inchiesta si mette in moto e gira veloce. Gli investigatori guidati del dirigente Marco Calì sono quelli della quarta sezione che si occupa di reati sessuali e contro la persona. Sul luogo della violenza i poliziotti della Scientifica, attraverso i liquidi biologici che restano sugli effetti personali della vittima, riescono a repertare più tracce di Dna.
Contestualmente si passa dalle immagini delle telecamere, poi ai traffici della cella telefonica, per passare alle impronte e individuare così un gruppo ristrettissimo di nordafricani. In particolare l’egiziano 31enne che, pedinato, si sottopone senza saperlo a uno degli escamotage degli investigatori per prelevare il Dna (un mozzicone di sigaretta? Una tazzina di caffè?). Grazie al «match» (corrispondenza) tra i diversi tipi di materiale biologico, si passa all’arresto: l’egiziano, che è incensurato, viene catturato intorno alle 13.30 di ieri in un appartamento dove vive con altri immigrati al Dergano, periferia nord della città. https://www.ilgiornale.it