Il termine braccio robotico industriale è apparso per la prima volta nel 1921 nella commedia “R.U.R.” (Rossum’s Universal Robots) dell’autore ceco Karel Pearek.
In questa commedia i dipendenti della società, unicamente lavoratori robot, alla fine sterminano i loro creatori umani.
In ceco “robota” significa schiavitù! Quindi l’autore ha semplicemente scelto la parola che meglio si adattava alla sua commedia, senza sapere che quel nome sarebbe poi entrato nella storia con un significato completamente diverso.
L’US Robotics Institute definisce il robot come un controller multi-funzione riprogrammabile, progettato per movimento di materiali, componenti, strumenti e dispositivi specializzati attraverso variabili e movimenti programmati per eseguire una serie di compiti.
Le industrie, attraverso sistemi robotici, possono organizzare una produzione in turni per ottenere il massimo da un turno produttivo, con velocità specifiche e risultati misurabili.
I sistemi robotici migliorano il funzionamento interno dell’industria e la qualità dei prodotti realizzati, svolgendo il lavoro con una precisione inimmaginabile.
La presenza umana non viene sostituita nel processo produttivo, ma i lavoratori vengono formati all’uso e alla gestione dei sistemi robotici.
In altre parole, c’è un cambiamento dei ruoli di supervisione.
La pandemia ha accelerato gli sviluppi e dopo il primo blocco abbiamo assistito a un forte aumento degli ordini di sistemi robotici, in particolare nei settori fmcg, farmaceutico e manifatturiero.
Il braccio robotico industriale è ormai diventato parte integrante della produzione moderna, un qualcosa di cui sarebbe francamente impossibile fare a meno.
E non solo per quanto riguarda la produzione industriale.
Basti pensare agli assistenti robotici per anziani e malati, robot che curano e intrattengono i bambini, avatar che addestrano studenti, robot che operano a distanza, ecc.
Forse l’obiettivo più basilare della tecnologia, servire l’uomo, aiutarlo, servirlo, curarlo, addestrarlo, facilitargli la vita senza limiti, è praticato, con risultati impressionanti, dal Laboratorio di Robotica e Automazione del Scuola di Ingegneria Elettrica e Informatica di NTUA.
I bracci robotiche hanno aiutato i bambini con autismo a superare i problemi comportamentali, gli aiutanti robotici hanno rimesso in piedi le persone con problemi di mobilità, i sistemi robotici hanno restituito un senso di dignità alle persone che non sono in grado di prendersi cura di se stesse nel loro momento più personale, il bagno. I robot intrattengono ed istruiscono i bambini.
I robot eseguono interventi chirurgici al comando di un chirurgo a distanza, trasferendogli non solo il senso della vista ma anche il senso del tatto. Dietro queste applicazioni quasi magiche ci sono molte tecnologie estremamente complesse provenienti dai campi dell’informatica, dell’intelligenza artificiale e della robotica, che vengono – con un colossale deposito di ingegnosità e lavoro di ricerca – in sinergia tra loro.
I computer che vedono, conversano, riconoscono volti e azioni, cioè comunicano naturalmente con gli esseri umani, sono integrati in assistenti robotici, che con una combinazione di sensori e sistemi intelligenti percepiscono le esigenze dell’utente con problemi di mobilità o cognitivi e lo aiutano cura di sé e da curare.
I bracci robotici sono addestrati dai computer a capire cosa è importante per l’attenzione umana e a creare riepiloghi automatici da una grande quantità di dati.
Nessuno di noi potrebbe immaginare una vita senza la robotica, che si tratti della vita quotidiana o della produzione industriale.
Ed è per questo che le aziende di produzione di bracci robotici industriali stanno diventando delle vere e proprie eccellenze, a livello europeo in Italia in particolar modo.
D’altronde si sa che in campo tecnologico l’Italia è sempre un passo avanti, seguita a ruota da altre nazioni europee che tuttavia non tengono il passo con l’ingegno italiano.
L’Italia è in grado di compete con paesi molto all’avanguardia nella produzione di bracci robotici industriali come la Cina e il Giappone, con un occhio di riguardo alla qualità tipicamente italiana difficilmente replicabile.