di Luca Fazzo – Ha mentito ai suoi sostituti, negando quasi di avere conosciuto Luca Palamara. Ha dettato i tempi delle indagini e delle perquisizioni in modo da non intralciare i lavori della giunta rossa. Ha trasformato la Procura di Reggio Emilia in un ufficio diviso e sbandato, dove i pm si sentivano abbandonati: e dove il sospetto di essere arrivato al suo posto grazie all’appoggio del Pd non si è mai dissolto.
Da ieri, Mescolini non è più il Procuratore di Reggio. Il Consiglio superiore della magistratura lo sfratta dalla carica per «incompatibilità ambientale». È la prima volta, dopo l’esplosione del caso Palamara, che il Csm prende atto che un magistrato incastrato dalle chat dell’ex presidente dell’Anm non può più stare sul posto che ha conquistato grazie a quelle trame. Nel caso di Mescolini è stata una decisione inevitabile, dopo le accuse lanciate contro di lui da quasi tutti i suoi sostituti, prima in una lettera e poi nelle audizioni. Ed è una decisione che non chiama in causa solo le trattative tra le correnti delle toghe ma investe in pieno anche i rapporti tra giustizia e partiti: in particolare con il Pd.
Marco Mescolini, infatti, non è un magistrato qualunque. Ha lavorato fuori ruolo nel gabinetto di Roberto Pinza, viceministro piddino dell’Economia. Ha ritardato, per sua stessa ammissione, di perquisire gli uffici del sindaco Pd di Reggio per non interferire con le elezioni (ha dato parte della colpa ai suoi pm, che lo hanno smentito). Da quando si è insediato a Reggio, i giornali locali ribollono di polemiche sulla vicinanza del procuratore al partito egemone.
Ma non è tutto. Quando lavorava al pool antimafia della Procura di Bologna, è stato l’autore dell’inchiesta Aemilia, che ha investito anche una parte della politica emiliana: tutta di destra. Giovanni Paolo Bernini, esponente di Forza Italia di Parma, venne investito in pieno, accusato di collusioni mafiose, poi venne prosciolto: ma intanto aveva avuto la vita devastata. Da allora si batte per dimostrare di essere stato vittima non di un errore giudiziario ma di un killeraggio per motivi politici, di cui Mescolini sarebbe stato l’esecutore.
Il posto di procuratore a Reggio, dice da sempre Bernini, fu il premio del Pd a Marco Mescolini. Tre sere fa, ospite di Nicola Porro a Quarta Repubblica, Bernini fa anche il nome di chi avrebbe sponsorizzato Mescolini: Celestina Tinelli, già presidente dell’Ordine degli avvocati di Reggio, talmente vicina al Pd da essere indicata dal partito nel 2006 come membro laico del Csm. La Tinelli reagisce annunciando querele nei confronti di Bernini. Ma il provvedimento emesso ieri dalla prima commissione del Csm dice che a quanto pare le cose andarono proprio così.
Quando Mescolini finisce sotto accusa, tra i pochi che davanti al Csm lo difendono c’è proprio la Tinelli, che – sentita come presidente dell’Ordine – liquida le accuse contro il procuratore come manovre di un avvocato di destra. «Ma non va sottaciuto – si legge nel provvedimento – che dall’analisi delle chat emerge che anche l’avv. Tinelli si era rivolta al dott. Palamara per sollecitare nomine nel distretto di Bologna e, verosimilmente, anche per la nomina del dott. Mescolini la cui proposta andò, una prima volta, al plenum del 14 febbraio 2018. Circostanza che getta una luce diversa, in termini di affidabilità, sulle sue dichiarazioni». Avrebbe mentito, insomma, per proteggere il magistrato che proprio lei aveva fatto nominare: e che ieri diventa la prima toga rossa che perde il posto per il caso Palamara.