Poche luci e molte ombre nel discorso di Draghi al Senato

Le vibranti parole con le quali Draghi ha concluso il suo discorso, suscitano, negli ascoltatori, un sentimento di patriottismo, finora troppo sottovalutato dai nostri governanti.

Sono ottimi i fini che il Presidente del Consiglio vuol perseguire nell’adempimento del suo mandato, ma c’è un punto essenziale che egli non valuta e non approfondisce: stabilire con quali strumenti economici e finanziari, che non siano debiti, si possa pensare a un risorgimento dell’economia italiana.
Stupisce che egli punti tutto sull’Unione europea, la quale dovrebbe avere un bilancio unico per tutti i Paesi dell’Europa, e non si renda conto che questa affermazione riprende una vecchia aspirazione che gli eventi più recenti hanno dimostrato irraggiungibile.

Egli insiste con la collaborazione con la Francia e con la Germania, ma si tratta di due Paesi che hanno tolto all’Italia la maggior parte delle fonti di produzione di ricchezza nazionale.

Un discorso sull’Europa deve fondarsi su una concezione federalistica dell’Unione europea, nella quale i singoli Stati siano dotati di parità economica e finanziaria, con un loro patrimonio pubblico inattaccabile dagli altri Stati, che assicuri una esistenza libera e dignitosa dei propri popoli (art. 36 Cost.).

Una vera ricostruzione dell’Europa implica che gli Stati membri abbiano ciascuno una propria autonomia economica e finanziaria, che non nasce in natura secondo il pensiero della resilienza, ma ha bisogno delle decisioni forti dei propri governi.

È sulla base della forza e dell’indipendenza di ogni Paese che si può costruire un’Unione europea capace di confrontarsi con i grandi Stati del mondo.

Draghi fa un discorso che ripete vecchie teorie fallimentari, che vedono nell’Europa e nell’euro la salvezza dell’Italia.

Viceversa la salvezza del nostro Paese è solo nelle mani degli italiani e nelle risorse del nostro territorio che, per effetto del sistema economico predatorio e patologico del neoliberismo, è quasi interamente passato nelle mani di S.p.A. straniere.

Parlare di Europa oggi significa innanzitutto modificare l’assetto organizzativo dell’Unione e, solo per fare un esempio, ritenere impossibile che nel mercato unico europeo sia legittima l’esistenza di paradisi fiscali come quelli dell’Olanda e del Lussemburgo.

È stupefacente che Draghi, pur citando l’Italia, non abbia detto una sola parola sulla Costituzione della Repubblica italiana, dimostrando così di non capire che la salvezza dell’Italia e dell’Europa intera viene soltanto mediante l’applicazione del titolo terzo della parte prima della Costituzione dedicato ai rapporti economici.

Sembra che nella mente del Presidente del Consiglio ci siano soltanto le nefaste idee del neoliberismo imperante e non esista la minima idea di un ritorno al sistema economico produttivo e fisiologico di stampo keynesiano, nel quale tanto credeva il suo grande maestro Federico Caffè purtroppo scomparso nel nulla nell’ormai lontano 1987.

Se davvero Draghi volesse ricostruire l’Italia e l’Europa, dovrebbe ricordare che nell’ordinamento giuridico costituzionale esistono due soggetti: il cittadino e il Popolo sovrano, come hanno insegnato da tempo i giureconsulti romani, quelli sì veri maestri di diritto. Ed è ovvio che questi due soggetti devono avere ciascuno i mezzi per la propria sopravvivenza. Un reddito per i singoli e un patrimonio pubblico di grandi dimensioni per l’intera comunità

Purtroppo un male oscuro annunciato da Draghi come un bene assoluto ha sconvolto l’economia europea: si tratta delle privatizzazioni, cioè del fraudolento passaggio di ricchezza dal patrimonio pubblico di tutti a quello di singoli faccendieri e ciniche multinazionali, attraverso l’utilizzo di un meccanismo subdolo, e cioè la trasformazione degli Enti pubblici economici, che portavano danari al bilancio dello Stato, in S.p.A., che portano denaro, sottraendolo a tutti i cittadini, nelle mani di pochi soggetti assolutamente indifferenti per le sorti del Paese.

Draghi parla di riforma fiscale, ma dimentica che l’Italia ha estremo bisogno di una riforma del sistema bancario, e che i mali dell’Italia sono irrisolvibili, finché il potere di creare denaro dal nulla resta nelle mani di queste ultime, le quali offrono il denaro da loro creato a chiunque lo chieda, e quindi anche per investimenti contrari all’utilità pubblica, se non addirittura alla morale pubblica.

Non tiene presente il nostro Presidente del Consiglio, con la mente offuscata dalle nefaste idee del pensiero neoliberista, che il problema oggi da risolvere, senza scossoni nei confronti dell’Europa (che è tutta da riformare), è quello di emettere una moneta parallela, con corso legale nell’ambito del territorio italiano.
Una moneta che entra nel bilancio dello Stato tra le entrate, e non è da prendere a prestito dalle banche o dalla Bce, aumentando così all’infinito il nostro debito pubblico.
È questa la scelta irreversibile e non certo la permanenza nell’euro. E non è chi non veda che l’obiettivo primario che deve raggiungere l’Italia è quello di riportare nella proprietà collettiva demaniale del Popolo, al fine di soddisfare i principi e i diritti fondamentali previsti in Costituzione, quanto è stato sperperato fraudolentemente con azioni ignobili dei governi fra speculatori italiani e stranieri.

È qui la radice di tutti i nostri mali e in specie della dilagante corruzione. Concludo invitando Draghi ad attuare innanzitutto l’articolo 3 della Costituzione secondo il quale la Repubblica rimuove gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono lo svolgimento della persona umana, nonché gli articoli 41 e 42 Cost., che pongono come principi imperativi, la cui violazione determina la nullità dei contratti, quelli che riguardano la funzione sociale della proprietà privata e in ogni caso l’utilità sociale. Tenendo presente che devono appartenere alla mano pubblica, come prescrive l’articolo 43 della Costituzione, le industrie strategiche, i servizi pubblici essenziali, le fonti d’energia e le situazioni di monopolio.

Insomma la salvezza dell’Italia non è solo nell’indicazione di alcuni fini, ma nella inderogabile attuazione della Costituzione.

Professor Paolo Maddalena. Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale e Presidente dell’associazione “Attuare la Costituzione”