Il giornalista cattolico e saggista Maurizio Scandurra torna a indossare i panni del critico musicale: e spiega perché a Rai, cantanti e sponsor conviene annullare il prossimo Festival.
Mentre tutta Italia s’arresta innanzi a Sua Maestà il Coronavirus, che prospera indefesso nella nostrana contea europea del Sussidistan (o Redditistan, se preferite), c’è una cosa a cui uno Stato in ginocchio e di fatto in assetto di guerra pare non poter proprio rinunciare: il Festival della Canzone. Sembra assurdo, ma è così. E’ pur vero che siamo il Paese delle canzonette: ma arrivare a canzonarci da soli perché a tutto in questo momento diciamo ‘stop’ tranne che a Sanremo 2021, appare davvero farsesco e grottesco. Come dieci sono i comandamenti mosaici, ecco altrettante ragioni per dire “no” in tempo di Covid-19 alla kermesse canora.
Primo. Da un anno la musica è cambiata. Spettacoli cancellati urbi et orbi. Come afferma giustamente il caro Paolo Del Debbio, l’incertezza è il male maggiore. E affligge anche lo showbusiness, vanificando ovunque pianificazioni e previsioni.
Secondo. Sanremo sta alla Liguria come la ‘Fiera Nazionale del Tartufo’ a Montiglio Monferrato, ‘Ecomondo’ all’Emilia-Romagna e il ‘Salone del Libro’ al Piemonte. Quale evento di punta di un territorio (specie in una transizione storica dolorante e generalizzata), ingiustamente gode di privilegi insopportabili rispetto ad altri campanili che non hanno potuto neanche festeggiare il proprio Santo Patrono. Questione di tatto, ma probabilmente alla Rai nessuno ci ha ancora pensato.
Terzo: una trentina di cantanti festanti in gran spolvero fra vecchie glorie e nuove proposte aitanti, a fronte invece di centinaia di migliaia di artisti di ogni genere (famosi e non) fermi, disperati e con il culo a terra, è davvero una bestemmia difficile da digerire per una nazione che si ostina a definirsi equa e civile.
Quarto. Chi organizza eventi (annullati ovunque) sono per lo più imprese private che hanno subito tutte ingentissime perdite. La Rai invece, nel proprio status privilegiato di azienda pubblica, potrebbe quantomeno mostrare solidarietà evitando (per rispetto a chi soffre e non lavora più) il carnevalone sanremese, dato che per il secondo anno consecutivo di carri allegorici e coriandoli fra borghi e città non ne vedremo nemmeno l’ombra.
Quinto. Sanremo è anche in fin dei conti una fiera commerciale: ma chi fra gli inserzionisti pubblicitari non s’interroga, nel caos regnante, se valga la pena risparmiare quattrini preziosi destinandoli a periodi migliori, piuttosto che bruciarli adesso per reclamizzare in prime-time in tv prodotti e novità, se tanto la gente non c’ha soldi per comprarli. E, soprattutto, non è libera di uscire come vuole?
Sesto: a che serve a un cantante partecipare a Sanremo, investire denaro, speranze, risorse e creatività (perché le belle canzoni non nascono come i pezzi in serie delle automobili), senza avere a priori la garanzia di potersi poi esibire dal vivo incassando? A sputtanare tanti denari inutilmente, punto e basta.
Settimo: voci di corridoio – chi scrive è pur sempre un critico musicale – riferiscono di un basso livello delle proposte musicali pervenute dai cantanti Big alla Commissione di Sanremo 2021. Poiché anche l’ispirazione è figlia della Storia (come del resto tutte le umane vicende), in un simile pandemonio (più che una pandemia) a chi umanamente parlando può riuscir bene di scrivere capolavori o parlare d’amore?
Ottavo. Siamo già oltre metà novembre. Sui media nessuna anticipazione, rumors o spoiler circa il solito toto-cast del Festival. La rosa dei campioni in gara dovrebbe essere resa nota in prima serata su Raiuno il prossimo 17 dicembre. Cioè, dopodomani. Ma nel mentre tutto tace. Silenzio assoluto.
Nono. Iniziano a essere più che stretti (per non dire insufficienti) i tempi tecnici di organizzazione (progetto scenografico, tecnico, vallette e co-conduttrici, superospiti italiani e stranieri, macchina organizzativa in generale). Il prossimo 2 marzo, data di debutto, è dietro l’angolo. A meno che non si decida di slittare ancora.
Decimo. Cari Amadeus e Fiorello, conviene davvero fare Sanremo 2021? E alla peggio senza pubblico? A voi no di certo. A meno che non decidiate di devolvere entrambi l’intero cachet a un fondo di sostegno urgente per lo spettacolo made in Italy. Il Paese non vi perdonerebbe mai uno scivolone opportunistico, galantuomini quale siete.
E allora, a chi gioverebbe andare in onda? A hotel e ristoranti liguri, pronti ad attirarsi ire e maledizioni dal resto dei loro colleghi italiani chiusi per Covid? Alla Rai dell’Amministratore Delegato Fabrizio Salini e del Direttore di Raiuno Stefano Colella, timorosi per i mancati introiti di partner e sponsor?
E’ tempo di tirare la cinghia anche per la Tv di Stato: che intanto farebbe più bella figura ad azzerare (non sospendere) il canone per il biennio 2020-2021 risparmiando soldi pubblici preziosi normalmente destinati a Sanremo, visto che dovremo sorbircela chiusi in casa nostro malgrado ancora per un bel po’.
Maurizio Scandurra