Se il Patto europeo per le migrazioni sarà approvato, l’Italia potrebbe essere costretta a farsi carico della maggior parte dei richiedenti asilo (clandestini, ndr) che arriveranno nel suo territorio – per una media di circa 15.000 persone – dal momento che il principio del Paese di primo ingresso è stato mantenuto. Se tale cifra è esatta, il nostro Paese dovrà moltiplicare la capienza degli hotspot e dei Centri per il rimpatrio addirittura di 50 volte.
Sono queste le principali conclusioni contenute nell’analisi ‘Nuovo patto, pessimo impatto. Perché il nuovo Patto europeo sulla migrazione penalizza sia l’Italia che i richiedenti asilo’, realizzato da EuroMed Rights in vista del Consiglio dei ministri dell’Interno europei, che alle 15 discuteranno l’adozione del Patto.
Analizzando i dati relativi al 2016 e al 2020, questa simulazione illustra le conseguenze che il Patto avrebbe sul sistema di accoglienza. Secondo EuroMed Rights, il progetto Ue comporterebbe per l’Italia un uso massiccio e prolungato della detenzione e che richiederebbe di moltiplicare la capienza dei luoghi di detenzione di 7 volte e mezza in periodi normali, e addirittura di 50 volte in anni di crisi come il 2016.
Tenendo conto infatti l’attuale capienza di 2.307 posti tra hotpsot e Centri per il rimpatrio (Cpr), e considerando il numero medio di 19.440 richiedenti asilo, risulta evidente che il numero delle persone che dovrebbero essere detenute è molto più alto rispetto ai posti disponibili.
Secondo la simulazione di EuroMed Rights, sono due gli scenari possibili: una detenzione di 18 settimane o di 24 (18 settimane è la durata media tra il limite di tempo massimo di 12 settimane per la procedura di asilo alla frontiera, mentre 24 settimane è il limite di tempo massimo per la procedura di asilo più la procedura di rimpatrio alla frontiera). In entrambi i casi, il numero delle persone che dovrebbero essere detenute è inequivocabilmente più alto: nei momenti di maggiore pressione, ben 14.453 o 16.289 persone (rispettivamente negli scenari di 18 e 24 settimane) verrebbero detenute nello stesso momento, di fronte a una capienza di 2.307 posti tra hotpsot e Cpr.
Anche alla luce di questi dati, il limite di tempo di 12 settimane per effettuare le procedure d’asilo alla frontiera appare totalmente irrealistico, in un paese dove attualmente la durata media della procedura è di due anni.
Detenzione e permanenza nei centri di accoglienza in centri sovraffollati ha poi un impatto decisamente negativo sulla salute mentale di queste persone: EuroMed Rights cita il recente studio condotto da Medici per i Diritti Umani (Medu), che parla di “modelli doppiamente traumatizzanti” in quanto farebbero rivivere loro le esperienze traumatiche passate, come ad esempio: torture, detenzione, aggressioni fisiche, aver assistito all’uccisione di una o più persone, essere stati vicini alla morte, rapimento, violenza sessuale e così via.
Infine, quanto al fatto che l’Italia viene mantenuto “Paese di primo approdo”, per EuroMed Rights è plausibile che lo Stivale dovrà farsi carico della maggior parte dei richiedenti asilo che arriveranno nel suo territorio. Poiché il meccanismo di solidarietà permette anche agli Stati membri di prediligere alternative differenti al ricollocamento – continua l’organizzazione nella nota – l’Italia dovrà essere consapevole del fatto che gli Stati membri non avranno alcun incentivo a prediligere il ricollocamento rispetto alla sponsorizzazione dei rimpatri o altre forme di “solidarietà”, come il supporto attraverso un contributo economico. In effetti, i relatori del report si domandano: perché mai gli Stati membri dovrebbero scegliere adesso il ricollocamento come forma di solidarietà quando alcuni di loro non l’hanno fatto nemmeno nel 2016, quando era obbligatorio? (AGENZI DIRE)