Intervista all’Ammiraglio Luigi Giardino, Capo Reparto Sicurezza della Navigazione e Security marittima.
ANSA – ROMA, 01 AGO – Non sono soccorsi occasionali quelli effettuati dalle Ong nel Mediterraneo centrale: si tratta invece di un’attività svolta in “modo sistematico” che non può essere configurata come “un improvviso e diverso impiego”, come avviene ad esempio per le navi commerciali che vengono dirottate dalle autorità marittime in soccorso ai gommoni e ai barconi in difficoltà che carichi di migranti salpano dalle coste del nord Africa.
Dunque le navi delle Organizzazioni umanitarie dovrebbero, come dice la convenzione Solas, essere certificate dai rispettivi stati di bandiera per il “servizio” che svolgono realmente e, di conseguenza, rispondere a requisiti ben precisi previsti proprio per chi fa attività Sar (Search and rescue, ricerca e soccorso). Altrimenti operano al di fuori dalle leggi internazionali.
In un’intervista all’Ansa il capo del VI Reparto sicurezza della navigazione e marittima del comando generale della Guardia Costiera, l’ammiraglio Luigi Giardino, cerca di mettere fine alle polemiche sul blocco delle navi delle Ong, spiegando i motivi che hanno portato al fermo amministrativo delle
imbarcazioni in questi mesi, dalla Aita Mari alla Alan Kurdi, dalla Sea Watch3 alla Ocean Viking.
Innanzitutto, dice, le ispezioni effettuate dagli uomini della Guardia Costiera, con “serietà e obiettività”, rispondono ad una precisa direttiva comunitaria (2009/16/EC) recepita dall’Italia nel 2011 e che riguarda tutte le navi straniere che approdano nei nostri porti e ancoraggi. Ispezioni “ordinarie
svolte in base ad una periodicità definita in base ad un ‘profilo di rischio’ della nave”. La Ocean Viking, ad esempio, rientra tra le navi a ‘rischio standard’, che prevede un’ispezione periodica una volta l’anno.
Poi ci sono i controlli “addizionali” che scattano in seguito a “fattori di priorità assoluta ed inaspettati” quando ad esempio una nave si incaglia, ha una collisione o ci sono specifiche segnalazioni. E in questo tipo di ispezioni rientrano le verifiche effettuate sulla nave di Sos Mediterranee lo scorso 22 luglio: i controlli, sottolinea l’ammiraglio, “hanno avuto luogo sulla base dell’evidenza oggettiva che la nave ha trasportato ‘in maniera sistemica’ più persone di quelle che può trasportare in base alla certificazione di sicurezza rilasciata dallo Stato di bandiera”.
All’esito delle verifiche, così come avvenuto per le altre tre navi delle Ong, è stato riscontrato “un consistente numero di carenze, in questo caso 29 non conformità” che hanno portato al fermo amministrativo dell’imbarcazione. Situazioni trovate anche sulle altre navi visto che i problemi evidenziati vanno da 18 a 31 per unità.
E quali carenze sono state riscontrate sulla Ocean Viking?
Tra le altre, “scarsa familiarità dell’equipaggio nell’affrontare un incendio a bordo; equipaggio che ha lavorato più delle ore massime consentite dalle convenzioni internazionali; installazione di dotazioni di salvataggio addizionali senza criteri di impiego e prive delle necessarie certificazioni; sistemi per la rilevazione degli incendi fuori uso; bagni installati su ponti aperti con scarico diretto in mare“.
Ma non c’è solo questo. “La questione è molto più ampia e legata anche ad un processo di valutazione dell’attività svolta” dice l’ammiraglio Giardino. Un’attività, appunto, “di ricerca e assistenza ai migranti svolta con unità non adeguate, in assenza di una specifica certificazione e in modo sistemico”. Lo confermano i numeri: nell’ultimo anno le 4 navi hanno effettuato 52 interventi di soccorso, 30 solo la Ocean Viking.
“Le unità Ong, riteniamo con chiare evidenze oggettive, svolgono una precisa e diffusamente dichiarata attività che non si configura come un improvviso e diverso impiego delle navi stesse”. E dove è il problema? Che la navi non sono adeguate e che la convenzione Solas, “uno dei pilastri delle norme internazionali in materia di sicurezza della navigazione”, spiega ancora Giardino, prevede che lo stato di bandiera certifichi la nave per il “servizio” che svolge tanto che a gennaio la Guardia Costiera “ha inviato agli Stati di bandiera delle navi Ong una nota ufficiale chiedendo che fossero adottate tutte le misure necessarie per garantire che dette unità fossero appunto idonee e certificate per tale tipo di impiego”. Cosa che non è avvenuta.
In ogni caso, se le Ong ritengono che i provvedimenti non siano corretti, possono presentare ricorso attraverso le procedure previste e di cui sono state formalmente informate
all’atto del fermo. E al momento, almeno per quanto riguarda la Ocean Viking conclude Giardino, “non risulta” sia stato presentato alcun ricorso “né dalla Ong né dallo Stato di
bandiera”. (ANSA)