Coronavirus, UE: “Chiudere frontiere Schengen non serve”

Sono Sette gli Stati membri dell’Ue che hanno reintrodotto i controlli alle frontiere per bloccare la diffusione del coronavirus, una mossa che per l’Unione europea “non è necessariamente il modo migliore per contenere la diffusione del virus”. Austria, Repubblica Ceca, Germania, Danimarca, Ungheria, Polonia e Lituania, a cui si aggiunge la Svizzera (che partecipa allo Spazio Schengen), hanno notificato la reintroduzione di controlli temporanei alle frontiere interne dello spazio di libera circolazione europea, come misura di emergenza a causa del coronavirus, secondo quanto prevede l’articolo 28 del codice delle frontiere di Schengen.

Chilometri di code – La cosa sta già creando non pochi disagi. “Abbiamo prove di chilometri e chilometri di code in alcuni posti di frontiera. I camion non sono stati in grado di passare a causa dei controlli a quella frontiera o dell’effetto domino a causa di frontiere chiuse in un altro paese”, ha dichiarato il portavoce della Commissione, Eric Mamer, spiegando le ragioni delle linee guida sui controlli alle frontiere presentate, linee guida che chiedono perlomeno misure preferenziali per alimenti e farmaci. “Cerchiamo di anticipare”, ha detto il portavoce: “Siamo in un’economia in cui il ‘just in time’ è un fattore chiave. Molte imprese operano con livelli di stock molto bassi e dipendono da un flusso continuo di componenti per continuare a operare”.

Il coronavirus è dappertutto – Quello che bisogna capire, ha aggiunto, è che il coronavirus “è attualmente presente in tutti gli Stati membri dell’Ue”, e quindi essendo ormai già diffuso “la nostra valutazione è che chiudere i confini non è necessariamente il modo migliore per contenerne la diffusione”.

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