Occidente accerchiato dalle banche e dalle barche

Quando a Milano venne ultimata la costruzione del grattacielo più alto della città, 220 metri di vetro, cemento e acciaio, in prossimità della Stazione Garibaldi, il mutato skyline della città indusse l’operoso cittadino milanese a credere che la metropoli vivesse finalmente una rinnovata crescita imprenditoriale all’altezza del nome e dei fasti del capoluogo lombardo.

Ogni buon milanese è fiero della sua città e del suo continuo trasformarsi e il colossale cantiere che dava vita e forma al “Progetto Porta Nuova”, nelle prime decadi del nuovo millennio, non poteva che suscitare curiosità, ammirazione e speranze. Soprattutto per il futuro delle nuove generazioni. Non era l’unico grandioso cantiere: c’era anche quello che si sviluppava sull’area dell’antica gloriosa “Fiera di Milano”, rasa al suolo dopo la nuova dislocazione della Fiera nella contigua zona di Rho, poi affiancata nel 2015 dal fantasmagorico Expo che tanta attenzione internazionale ha richiamato sulla città, con benefici effetti in ogni settore economico. Certo è che quel grattacielo alto più del doppio del celeberrimo Duomo gotico, e da questo posto a rispettosa distanza, aveva suscitato una impressione del tutto particolare, esaltante e tuttora non sopita. Impressione del tutto diversa invece, fra coloro che non erano addentro alle cose dell’alta finanza, fece la notizia che quel grattacielo, ispirato nella sua forma svettante ad una guglia del Duomo, era parte rilevante e proprietà della Qatar Investment Autority (QIA). I fondi sovrani dell’emirato del Qatar, si erano assicurati infatti la più grande transazione immobiliare a livello europeo, per l’ammontare di oltre due miliardi di euro, con l’acquisizione dell’intero “Progetto Porta Nuova”, costituito da un buon numero di edifici modernissimi, realizzati e in progetto, fra cui, pare, 25 grattacieli. Uno stato arabo, paragonabile per estensione alla Corsica, aveva messo le mani sul cuore ultramoderno e pulsante della città.

Quanto fin qui brevemente narrato, non ha costituito evidentemente un evento improvviso, inaspettato e disconnesso da processi economici e politici che da tempo interessano l’espansione degli interessi finanziari dei Sauditi e degli Emirati del Golfo in ogni continente ed in particolare nell’Occidente europeo.

Il mondo arabo musulmano detiene una massa enorme di risorse finanziarie, frutto dei giacimenti di petrolio e di gas e, ad iniziare dalla seconda metà del secolo scorso, sempre più attivamente tende ad investire quelle risorse proprio nei paesi dell’Occidente cristiano, assai avanzati nei settori economici e tecnologici, nonché nell’organizzazione dello stato sociale, ma decisamente segnati da una preoccupante crisi demografica, dovuta alla denatalità. Un problema, questo, comune a molti paesi europei, cui l’imponente immigrazione da altri continenti ha parzialmente sopperito, anche a costo di rilevanti e pericolosi contraccolpi sociali.

Mentre l’immigrazione in Europa di filippini, indiani e soprattutto di cinesi è stata seguita da processi di integrazione generalmente accettabili, l’immigrazione dai paesi arabi e musulmani in genere, è stata segnata localmente da problemi di difficoltosa integrazione, pure al livello delle seconde e terze generazioni, nonché complicata periodicamente da episodi gravi di terrorismo, intolleranza e violenza per incompatibilità culturali con le popolazioni autoctone. Ne è derivata una situazione problematica a livello politico e sociale in alcuni paesi meta di immigrazione, sia a livello di rapporti internazionali col mondo arabo, al cui espansionismo economico, politico e religioso non fa certo comodo la cattiva pubblicità che l’estremismo islamico violento riverbera indiscriminatamente sul mondo musulmano. O forse, no: quell’immagine violenta si presta oggi ad essere utilmente riconvertita.

La diffusione dell’islamismo integralista dà al mondo musulmano la possibilità di dichiarare una propria presa di distanza dal terrorismo e contestualmente ciò lo induce a garantire, nei paesi occidentali in cui gli arabi sono interessati ad investire, una sorta di vigilanza e collaborazione “amichevole” affinché la mala pianta jihadista venga tenuta sotto controllo. Come se l’islam dicesse all’occidente: se mio fratello volesse minacciarti, io potrei tenerlo a bada. Potrei. Per altro verso, il fiume di denaro che la finanza dei paesi islamici riversa sull’Europa costituisce pur sempre un argomento assai convincente per gli operatori economici occidentali. E anche per il potere politico, da sempre connesso con quello economico.

Non c’è sicuramente un solo partito politico, credo, che non conosca come, dove, quanto, quando e da chi venga esercitata questa sorta di colonizzazione economica dell’occidente. Sarebbe inoltre sciocco credere che politica locale e nazionale, di qualsiasi colore, non abbia i suoi rapporti con la realtà sopra descritta, per i più diversi fini, che si spera leciti e istituzionalmente corretti.

Dove c’è denaro, c’è chi lo chiede e chi lo offre. E chi ne ha da investire lo usa anche per spianare la strada ai propri affari confidando sul potere “osmotico” del denaro che attraversa qualsiasi barriera. “Pecunia non olet”. E induce a chiudere un occhio su tante questioni piccole e grandi. Se nel centro di Milano, nel “quadrilatero della moda” girano a frotte turiste arabe di nero vestite e col volto coperto, e talvolta pure con guanti neri e occhiali da sole (affinché non si vedano mani e occhi nudi?), nessuno farà notare a quelle signore che la legge italiana non consente di circolare in pubblico col volto coperto. Uno che conosco, in un luogo ben vigilato del centro, segnalò ai rappresentanti dell’ordine pubblico in servizio stradale la violazione di legge rilevabile nel viavai di persone col volto coperto, ma la risposta di un impassibile agente fu: “Non ne abbiamo viste”. La risposta citata chiarisce, in modo emblematico, quanto la colonizzazione arabo-musulmana del mondo occidentale proceda nell’assoluta consapevolezza e corresponsabilità della politica, dei poteri pubblici, dell’amministrazione locale centrale, e dei servizi di sicurezza.

Tutti sanno tutto, ma non il cittadino “medio”, il quale anche quando formuli ovvi interrogativi, non ottiene risposte. Prevale il lasciar correre, lasciar fare, far finta che. E così si spiega il fatto che vengano costruite moschee in un paese, come l’Italia, che a tutt’oggi non ha riconosciuto l’islam come religione. Al riguardo non esiste nulla nel nostro ordinamento giuridico, che realizzi i principi costituzionali in materia di culto, se riferito all’islam. Il che dovrebbe essere una logica conseguenza nei confronti di una religione che propugna principi e comportamenti inconciliabili col nostro sistema giuridico e la nostra Costituzione. Viceversa le ragioni che fanno proliferare le moschee sono evidentemente altre e non tutte acclarabili.

Va ricordato però che all’accettata penetrazione della presenza islamica nel mondo cristiano non fu estranea la posizione assunta dalla Chiesa romana col Concilio Vaticano II , sottolineata da precise raccomandazioni contenute nel documento conciliare “Nostra Aetate”, tendente a vincolare i cattolici ad atteggiamenti concilianti nei confronti dei musulmani. Ciò non produsse peraltro lo sviluppo di un dialogo interreligioso auspicabile e forse indusse, al contrario, un processo che alcuni hanno chiamato di graduale e tendenziale sottomissione all’islam, così efficacemente prefigurato nel romanzo, più profetico che fantapolitico, di Michel Houellebecq.

Gli investimenti finanziari del Qatar, inoltre, non si limitano al settore immobiliare, né in Italia, né nel resto d’Europa, come è emerso con la pubblicazione di “Qatar Papers”, di C.Chesnot e G. Malbrunot. Con l’acquisizione della compagnia aerea Meridiana, ora Air Italy, la Qatar Airways per esplicita ammissione del suo amministratore delegato mira nel tempo a sostituirsi all’ Alitalia, incapace di risolvere la propria crisi, forse perché potenti interessi esterni ne condizionano la ripresa.

Non mi dilungo, per ora, su altre operazioni di “shopping” d’alto bordo che il Qatar conduce, peraltro alla luce del sole, sul nostro mercato nazionale e su quello europeo, utilizzando anche espedienti pubblicitari come quello di far comparire il nome della Qatar Airways sulle magliette di una importante squadra di calcio italiana. Parallelamente ai citati investimenti, l’interesse del Qatar punta in egual misura e pari attenzione alla componente umana dei fedeli e cioè alla comunità islamica crescente sul suolo italiano, numericamente rafforzata ogni anno da un ininterrotto afflusso migratorio. Un interesse che il Qatar coltiva in modo meno appariscente rispetto ai suoi affari finanziari, e pur privilegiando la presenza musulmana in Italia, non trascura lo stesso fenomeno nel resto dell’Europa, attraverso una fitta rete di associazioni, agenzie e operazioni finanziarie condotte in modo da non incappare nei rigori delle leggi locali.

In questo ambito di dissimulata espansione, una dura concorrenza al Qatar viene esercitata dall’Arabia Saudita e dal Kuwait, in conseguenza di non sopite ostilità. E direi, per fortuna, perché se il mondo islamico fosse unito a livello di intenti e di risorse, forse l’Europa sarebbe già stata comperata e sottomessa. L’altrui disunione ci salva.

In ogni caso l’espansionismo politico che punta a saldarsi con ambiti religiosi islamici diffusi in tutto il vecchio continente, in Italia si è già concretizzato con il finanziamento di quarantasette tra moschee , centri culturali islamici, “centri di memorizzazione del Corano” più numerosi quindi che in qualsiasi altro paese d’Europa.

L’espansionismo qatariota su base religiosa, non è manovrato a livello di alta finanza, bensì, in modo accorto e meno appariscente, da una ONG, denominata Qatar Charity. Il nome “Charity” può sorprendere, ma non dovrebbe. Il principio dell’aiuto caritatevole, dell’elemosina, dell’obolo per i poveri codificato a livello religioso nell’islam (la zakat) ha un altissimo significato etico e identitario. E zakat, estensivamente, è tutto quello che torna a maggior gloria di Allah e dell’islam, ivi compresa l’espansione mondiale del predominio islamico in cui ogni credente è personalmente e consapevolmente coinvolto. Puntare sulla zakat serve a porre in ombra l’aspetto guerresco di un islam che in passato si è imposto con la spada e ora mira invece ad esaltare, attraverso una strategia soft power, i meno appariscenti aspetti “buonisti” e umanitari dell’islam, puntando ad una captatio benevolentiae della mentalità occidentale, ammorbidita dall’amorevole radice cristiana, anche laddove questa risulti quasi obliata.

Il massiccio afflusso migratorio islamico, particolarmente diretto verso l’Italia, rafforza ed esige il necessario ricorso alla zakat, attraverso la raccolta di denaro e la distribuzione di aiuti, utili sia come sostegno concreto alle basilari esigenze di quotidiana sopravvivenza, sia come rete di collegamento e mezzo di coesione della Umma in viaggio verso nuovi lidi. L’ampliarsi e il moltiplicarsi delle comunità musulmane in terre di infedeli, costituisce l’imprescindibile base umana fondante del dominio mondiale dell’islam, in cui la volontà di Allah si realizza concretamente per mano dei fedeli. Questo, che è il senso e il fine del credo islamico, diventa strumento fortissimo di potere a disposizione di chi questa espansione sulla terra intende guidare e condurre verso le mete codificate dalla dottrina coranica.

E’ però pur sempre una guerra, fatta di denaro e di uomini. E masse di uomini (e donne e bambini) tante volte nella storia sono stati usati come strumenti inconsapevoli di non dichiarati disegni altrui. Non è il Qatar che mobilita i migranti, ma di fatto si avvale della loro penetrazione in Europa. Ai migranti, caricati sui barconi e mandati allo sbaraglio su un campo aperto oggi rappresentato dal Mediterraneo, è assegnata da altri manovratori di umani destini, la parte che in guerre del passato toccava alla fanteria, alla “carne da cannone” sospinta verso un fronte che, pure con perdite, doveva sfondare con la forza del numero. Completando così l’accerchiamento, con le banche e con le barche. Producendo quell’abbraccio mortale, che il potere finanziario e la forza numerica dei fedeli tenterà di rinserrare attorno a questa parte del mondo, la nostra, e alla sua civiltà.

Vittorio Zedda