Il marito di Liliana Segre, aveva un cuore «che batteva a destra». Il Giornale torna sul caso della via ad Almirante a Verona e ricostruisce la storia della famiglia della senatrice a vita. Anche la Verità , diretta da Belpietro, fa un’inchiesta. In entrambe le ricostruzioni si scopre molto di più di quel che ci aveva anticipato Ignazio La Russa sulla presunta inconciliabilità tra i due momenti: la cittadinanza onoraria alla Segre e una via al leader dell’Msi.
Alla faccia dell’inconciliabilità. Nel 1979 Alfredo Belli Pace, coniuge scomparso della senatrice, si mise in lista con la Fiamma tricolore. Era un conservatore allarmato dal pericolo comunista. Che a quel tempo in Italia era un pericolo molto presente.
Il marito della Segre in lista con la Fiamma del Msi – La vicenda si desume dagli archivi del Viminale: da lì risulta che nel 1979 il marito di Liliana Segre si era candidato alla Camera con il Movimento sociale italiano, ma come «indipendente». Prese 700 voti. Alfredo Belli Paci, morto nel 2008, scelse il Movimento sociale «da posizioni antifasciste». Lo spiega il figlio Luciano al Giornale, nell’articolo a firma Felice Manti. «Ero il segretario provinciale dei giovani del Psdi, poi ho militato nel Psi, nei Ds, in Sd, Sel e infine Liberi e Uguali».
Il figlio: “Credeva nella Costituente di Destra” – La circostanza non fu vissuta in modo indolore dalla moglie Liliana: «Non le nascondo che fu un periodo difficile per lei e che la scelta di mio padre portò a delle lacerazioni nei nostri rapporti. Fin quando poi si decise a mollare tutto e a fare l’avvocato, da solo e poi insieme a me». Prosegue il racconto «Siamo negli Anni ’70, mio padre lavorò insieme ad altri – liberali, monarchici e antifascisti, lo scriva mi raccomando… – a quell’esperimento politico chiamato la Costituente di Destra», poi diventata Democrazia nazionale. Che trovò in Pietro Cerullo l’ispiratore; insieme a Ernesto De Marzio, il generale Giulio Cesare Graziani, finanche Achille Lauro».
L’esperimento fallì «ma papà ci credeva ancora, e per questo disse sì alla candidatura», si legge in un passo dell’articolo del Giornale. «Nonostante il no alla Repubblica di Salò gli fosse costato la permanenza in «sette campi di concentramento». Successivamente scelse la “pace in famiglia”: lasciò la politica e tornò accanto alla moglie. Nessuna divergenza di vedute potè spezzare un legame fortissimo. La Segre non aveva accettato la scelta del marito. Nonstante il Msi «avesse iniziato da tempo a rompere con l’antismitismo: un processo che avrebbe porto a termine qualche tempo dopo», scrive Francesco Borgonovo. In realtà, il Msi non fu mai antisemita. E successivamentenello statuto fondativo di Alleanza Nazionale c’era la condanna della Shoa senza se e senza ma. La vicenda della famiglia della Segre può insegnare molto a chi si ostina a perseverare in visioni manichee, utili solo a fomentare odi e pregiudizi.