Lo chiamano “governo di decantazione”, si legge “governicchio” o inciucione. Poco cambia, il succo è quello: dentro il Pd (e a sinistra) ormai sono tutti convinti della bontà dell’operazione: allearsi con il Movimento 5 Stelle con un solo scopo, fermare l’ascesa di Matteo Salvini. E la parola d’ordine, ora, è “Lamberto Dini”.
Se si tornasse alle urne, sondaggi alla mano, il Capitano vincerebbe facile, addirittura si avvicinerebbe al plebiscito con un centrodestra unito e compatto. Cosa c’è di meglio allora di un bell’accordo con i nemici grillini, mascherandolo da governo “istituzionale” per farlo poi diventare, subito, “di legislatura”?. Per il primo tifava Matteo Renzi, ma ora a preferire tempi lunghi sono in tanti, dal segretario Nicola Zingaretti a vari consiglieri influenti. Bettini, Enrico Letta, Walter Veltroni. E anche i già fuoriusciti Pierluigi Bersani e Massimo D’Alema, che ora hanno sentito profumo di governo e si stanno riavvicinando.
È proprio Baffino, scrive Repubblica, a ragionare sul governo Pd-M5s in questi termini rivelatori: “Anche nel 1994 quando cadde il governo Berlusconi I sembrava scontato il ritorno immediato alle urne e la vittoria di Berlusconi. Invece con il governo Dini facemmo un’operazione che era impopolare ma decisiva per il paese. Fu infatti quella scelta che permise poi al centrosinistra di vincere le elezioni. E con il governo Prodi, l’Italia entrò in Europa“. liberoquotidiano.it