Lo Stato padrone dei nostri figli, dei nostri corpi e delle nostre vite

Per salvare i bambini e noi – di Massimo Viglione
I fatti mostruosi della Val d’Enza, al di là della crudeltà inumana verso i bambini, sono avvenuti per una ragione ben precisa. È la stessa ragione per la quale lo Stato può decidere di togliere i figli ai genitori perché sono vecchi. O perché sono ignoranti. O per una qualsivoglia altra insulsa impostura.
È la stessa ragione per la quale si possono compiere sacrifici umani di malati, bambini, adulti o anziani che siano.
La ragione risiede nel fatto che il proprietario dei bambini è lo Stato. Così come delle nostre vite e dei nostri corpi.
Questa non è un’esagerazione o una interpretazione “fanatica”. È esattamente il nocciolo della questione.

In un mio articolo del 2014, riportavo queste precise parole:
«Mentre l’opinione pubblica è concentrata sulle contrastanti notizie provenienti dalla politica e dall’antipolitica, si stanno realizzando, per quanto riguarda i rapporti privati, riforme di forte incisività. Si tratta di portare a compimento il Nuovo diritto di famiglia, varato nel 1975, che un legislatore definì allora: “Una legge di oggi che diventerà la morale di domani”». Questo era l’incipit di un breve ma denso e importantissimo articolo di Silvia Vegetti Finzi (CdS, 15/12/2013, p. 37) intitolato “Addio per legge al padre padrone. I figli sono di chi li cresce e li educa”.
L’articolo è passato in realtà abbastanza inosservato anche negli ambienti cattolici sensibili ai problemi familiari e bioetici. E invece merita la massima attenzione, veramente una sorta di attenta esegesi.

L’autrice ci palesa in poche righe una delle più grandi, devastanti e profonde rivoluzioni in atto sotto i nostri occhi, destinata a sovvertire per sempre l’ordine naturale del creato, creando a sua volta “la morale di domani”, per l’appunto. Non è neanche più questione di educarci al “sesso libero” in sé, o al gusto del rapporto con lo stesso sesso, con i bambini o magari con le bestie.
Qui si va oltre, è in gioco qualcosa che va al di là della morale per incidere direttamente sul DNA del creato stesso, se così si può dire: è in gioco il concetto di genitore e figlio, la “genitorialità”, per usare un termine rivoluzionario.

La “genitorialità” si fonderà «sulla responsabilità piuttosto che sul potere». E sul sangue, aggiungiamo noi. I figli non appartengono più a chi li mette al mondo, ma «a chi li riconosce, li cresce e li educa adeguatamente».

Da anni, decenni, chi scrive aveva sempre pensato che dietro i sempre più numerosi casi di esproprio da parte dello Stato dei figli a genitori violenti o disumani (o presentati tali) si celasse la volontà di distruzione della famiglia. Oggi ci siamo arrivati e la maschera sta per essere gettata: «tutti hanno diritto ai medesimi rapporti di parentela» e «poiché la famiglia è un sistema, nulla sarà come prima» e si arriverà infine appunto «a un nuovo quadro antropologico e, di conseguenza, a una nuova morale».
L’autrice conclude ricordando che si richiederà «a entrambi i genitori una autorevolezza fondata sul riconoscimento reciproco, confermato dalla comunità».

Mi soffermo solo su quest’ultima asserzione. Che vuol dire “confermato dalla comunità”? Forse che si è padre o madre solo perché e nella misura in cui e fino a quando la “comunità” me lo riconosce e concede? E chi è la “comunità”? Lo Stato? La magistratura? I “comizi popolari”? O i servizi sociali? E se un genitore non dovesse essere riconosciuto come padre di chi ha generato, o se un giorno perdesse tale riconoscimento, chi sarebbe il padre del “generato”?
A questa ultima terrificante domanda, risponde la Vegetti Finzi nella conclusione del suo indimenticabile articolo: «Ogni adulto in quanto tale» sarà «responsabile del benessere e della crescita delle nuove generazioni».

Ecco la nuova morale, l’ultimo passo della rivoluzione antropologica. Tutti saremo figli di tutti e tutti saranno genitori di tutti. Pertanto, non esisteranno più la figura del padre e della madre (e pertanto qui si va oltre anche all’affidamento di bambini a coppie omosessuali), perché, come insegnano in Spagna, quando si è “todos caballeros” nessuno è più cavaliere. E non saremo quindi neanche più figli, perché non avremo più genitori.

Come dicevo, qui si va ben al di là delle follie omosessualiste, pedofiliste o bestialiste. Si sta distruggendo “materialmente” la cellula su cui si fonda la civiltà umana. È come se ad Aristotele si volesse sostituire Platone. Ma non Platone del Politico o de Le Leggi, uomo anziano e poi vecchio che è stato e sarà fondamento della civiltà occidentale, ma il Platone quarantenne de La Repubblica, quello che si studia banalmente sui banchi di scuola.

Il tempo vola sotto i nostri piedi, la Rivoluzione gnostica ed ugualitaria sta andando verso le sue più estreme conseguenze: è tempo che ce ne rendiamo conto, tutti insieme, aprendo gli occhi della mente e del cuore alla realtà come essa è.

Questo scrivevo cinque anni or sono. La Vegetti Finzi ci ha detto chiaramente che i figli non appartengono più ai genitori naturali, ma allo Stato. Lo Stato, nel concreto, vuol dire assistenti sociali, magistratura, avvocati e psicologi: tutti coloro che entrano nel gioco di togliere i figli ai genitori, per affidarli a chi vogliono loro (“confermato dalla comunità”), nella fattispecie con privilegio assoluto alle coppie omosessuali.
Quanto detto dalla Vegetti Finzi, e da me denunciato (devo dire che fui invitato da SAT2000 a parlarne), non fu ritenuto, dal mondo cattolico legato ai valori della vita e della famiglia, degno di essere propagato. Eccoci qua.

Lo Stato è il padrone dei nostri figli, come dei nostri corpi, delle nostre vite. E lo Stato è la Rivoluzione. Può fare questo perché siamo divenuti, nel corso dei secoli, e in crescendo dalla Seconda Guerra Mondiale a oggi, delle monadi isolate, schiavizzate dal lavoro per sopravvivere (per i meno abbienti) o dal mito della carriera (per i più abbienti), o dal calcio, dalla tv, da internet, dalla moda, da tutto l’immenso armamentario utilizzato per obnubilare le menti umane e renderci sempre più monadi. E schiavi, disarmati, in tutti i sensi.

E lo Stato fa quello che vuole: toglie i figli, impone vaccinazioni di massa senza senso, fa morire i malati, impone il gender nelle scuole, imprigiona chi capisce e vuole opporsi. Il tutto mentre ci fa invadere da milioni di immigrati, ai quali un giorno – statene certi – darà le nostre case. Con tutto l’appoggio delle strutture politiche e sociali, clero in primis.

Inutile confidare nei partiti. Sono quasi tutti schierati dalla parte del nemico. Chi non lo è, non fa quasi nulla, o molto poco, a riguardo. Al massimo, esistono alcuni buoni politici che personalmente si impegnano: ma si contano sulla punta delle dita (nel senso letterale e matematico del concetto) e certo da soli non possono cambiare le cose. Ma non è più tempo di convegni e proclami. Occorre una reazione di massa.

L’unica possibilità che abbiamo è tornare allo spirito medievale (anche in questo) del comunitarismo, per spezzare la trappola del monadismo in cui siamo caduti. Nella civiltà cittadina e comunale medievale, la più alta forma di civiltà politica mai raggiunta, ogni uomo era un cittadino nel senso vero del concetto, proprio in quanto componente di associazioni e confraternite (gilde) che gli impedivano di rimanere solo. Le gilde garantivano non solo aiuto alla persona e alla famiglia, e nell’aiuto generale sostenevano l’intera comunità cittadina; ma proprio per la loro forza unitiva divenivano baluardi di libertà contro le tentazioni assolutiste dei potenti.

Ovviamente a quei tempi vi era anche la Chiesa a difendere i cittadini, e questi avevano le armi per proteggersi. Oggi, siamo senza armi e con il clero passato in gran parte con il nemico. Ma esiste ancora la possibilità, facilitata da internet, dell’associazionismo.
Associarsi vuol dire creare forza di reazione, di protezione, di sostegno, di guida. Vuol dire creare un muro contro il nemico che ci vuole distruggere, che vuole fagocitare i nostri bambini e impossessarsi delle nostre vite, che vuole modificarci antropologicamente.
Vuol dire racimolare, nello sforzo comune, quote di soldi atte a permettere azioni comuni di resistenza al male.

Più che mai necessitiamo di muri e dobbiamo far saltare i ponti. Questo lo possiamo fare smettendo di sognare forze politiche che ci proteggono, e iniziando di contro a creare un’associazione che unisce tutte le forze dei “buoni”: umane, legali, economiche, mediatiche.
Superiamo le divisioni, i rancori, le diffidenze, il buonismo becero e idiota, lo “snobbismo” suicida e il moderatismo complice: creiamo un’unione di forze per la difesa della vita dei bambini, della civiltà, di tutti noi.
È tempo. Se non ora, quando?
Val d’Enza è solo l’inizio. Anzi, neanche l’inizio, nel senso che già da anni il sistema è rodato e i figli vengono tolti. Così come i malati vengono uccisi. Così come le menti vengono “rieducate” alla sovversione.
Dobbiamo unirci e reagire, da noi.
La vogliamo creare questa “gilda”, questa associazione generale, di difesa comune?
Qualcuno mi ascolta?

Massimo Viglione