In fondo non è nemmeno colpa sua. È che ormai Carola Rackete si è convinta davvero, di essere un guru dei tempi moderni, di avere qualcosa da dire. I creativi del marketing buonista hanno esagerato, e adesso la creatura vive di vita propria: ieri campeggiavano sue interviste su Der Spiegel, su The Guardian e sulla nostrana Repubblica.
È stato un bombardamento a testate chic unificate, una sovraesposizione smaccata nella sua artefazione. Il rischio di dire castronerie era altissimo per chiunque, figuriamoci per la signorina coi rasta che nei giorni scorsi aveva bofonchiato «forse dovrei emigrare in Australia», ignorando che da quelle parti di fronte a una manovra come la sua contro la Guardia di Finanza avrebbero aperto il fuoco.
Ecco, partiamo dalla manovra descritta a Repubblica: «Ho provato a evitarli, ma dal ponte di comando non vedevo bene la motovedetta. È stato un errore di valutazione, l’ impatto poteva essere evitato». Col che ammette anzitutto che l’ impatto c’ è stato, ergo darle della «speronatrice» è tecnicamente corretto.
Ma soprattutto, con una frase smonta l’impianto della gip Alessandra Vella che si era precipitata a scarcerarla a forza di supercazzole leguleie: nessuna «scelta volontaria seppure calcolata» nell’«adempimento di un dovere», ha colpito i militari per errore, a logica andrebbe rivista tutta la dinamica giuridica. Non aiuta se stessa, Carola, e non aiuta nemmeno i suoi migliori amici, i parlamentari democratici in prima fila festanti sulla tolda della nave che stava per violare disposizioni, leggi, sovranità del Paese che (in teoria) rappresentano.
«SAPEVANO TUTTO»
«Hanno partecipato al briefing in cui ho informato l’ equipaggio che avrei attraccato di lì a poco. Non hanno provato a fermarmi». Quindi, i nostri eroi progressisti erano consci che si andava allegramente a speronare la Guardia di Finanza, e non hanno emesso una sillaba. Non suona benissimo, moralmente ma anche legalmente.
TUTTO NEL NOME DEL BENE
Ma la Capitana non se ne cura, è tutta chiusa nel suo autismo intellettuale, un caso esasperato di bulimia dell’ Ego: alla domanda «il dovere di salvare i naufraghi giustifica qualsiasi cosa?», risponde: «Quasi.
Per fare un salvataggio non puoi mettere in pericolo la sicurezza del tuo equipaggio e la stabilità della navigazione». La sicurezza di chiunque altro nel mondo, di chi naviga di fianco a te, della motovedetta che ti chiede di rispettare la legge, della popolazione del porto che tu vedi solo come ricettacolo di sbarco continuo di «migranti», evapora, non esiste, è un non-valore. Del resto, i luoghi stessi per Carola Rackete vengono spogliati di senso, potrebbero essere qui ma anche altrove. «Ma c’ è un posto nel mondo che lei chiama casa?».
«No».
SENZA IDENTITÀ
È il relativismo estremo dell’ identità, esistono una, nessuna e centomila Carola Rackete, ovunque ci siano disgraziati in balia dei trafficanti di esseri umani da caricare e portare in Occidente, per espiare le colpe ataviche di quel mondo che, volente o nolente, sarebbe la tua «casa». «Non mi sento particolarmente tedesca, sono cittadina europea. Siamo cresciuti con l’ idea dell’ Unione Europea, e troppo spesso ci dimentichiamo quanto sia importante quest’ istituzione. Dovrebbe essere ancora più integrata».
Eccolo, l’ unico totem che questi pseudonichilisti arcobaleno riconoscono. Fanno piazza pulita di tutto, si definiscono come Carola «ambientalista e atea» così, come se fossero due aggettivi equivalenti, e il secondo non implicasse un’ asserzione metafisica estrema e totalizzante quanto «Dio esiste», ovvero «Dio non esiste».
Licenziano Dio in un virgolettato, si vantano come Carola di non avere né «casa« né «famiglia», e poi si genuflettono di fronte al Sacro Moloch del politicamente corretto: l’ Unione Europea. Che non solo non può essere messa in discussione, ma va ancora più stretta e centralizzata, deve assomigliare a una sorta di Unione Sovietica dei buoni sentimenti e delle frontiere azzerate.
Se la distopia delle sinistre novecentesche era la società senza classi, la distopia millennial che ha trovato la sua Capitana è la società senza popoli. Occhio però, Carola, ché definirsi «europea» è di nuovo escludente, richiama di nuovo geografie storiche e confini, ti connota di nuovo a discapito di altri. Sarà mica un insopportabile riflesso fasciosovranista?
di Giovanni Sallusti – – www.liberoquotidiano.it