Su Carola Rackete è in corso un braccio di ferro tra Italia e Germania che rischia di allargarsi a livello europeo, in una fase in cui i rapporti tra il nostro Paese e Bruxelles presentano vari fronti ancora aperti. La condanna del presidente della Repubblica Federale tedesca Frank-Walter Steinmeier è irrituale e precisa: non è in questione solo il fatto giudiziario, ma entrano in gioco i valori.
«Può darsi che esistano in Italia leggi specifiche su quando una nave può entrare in un porto e quando no – ha detto in un’ intervista alla rete tv ZDF – Ma l’ Italia è un Paese costituente della Ue, ed è per questo che possiamo aspettarci che in un caso come quello della Sea Watch 3 agisca in modo differente». Dopo che sabato il capo della diplomazia tedesca Heiko Maaß aveva lasciato intendere il disappunto per l’ arresto della capitana, il capo dello stato rincara la dose: «Il salvataggio di vite umane in mare è un dovere e non un reato». […]
Secca la risposta del premier italiano Giuseppe Conte, che ha subito riportato la vicenda entro i binari di una questione giudiziaria, in capo a una magistratura indipendente. All’ obiezione sui valori, la risposta è stata il caso ThyssenKrupp: «Se parlerò con Merkel di Carola? – ha detto Conte da Bruxelles- Io personalmente ho poco da dire al riguardo: se la Merkel mi parlerà, sarà l’ occasione per chiedere a che punto è la Germania con l’ esecuzione della pena dei due manager della Von Thyssen che sono stati condannati in Italia dopo regolare processo che si è esaurito in tutti i gradi di giudizio».
Il riferimento è ad Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz, condannati in via definitiva in Italia rper l’ incendio nello stabilimento Thyssenkrupp nel 2007 in cui morirono 7 operai. Devono scontare rispettivamente 9 anni e 8 mesi e 6 anni e 10 mesi: il provvedimento non sarà eseguito prima di una pronuncia della Corte di appello di Hamm, alla quale si sono rivolte le difese in febbraio. «Da noi Carola è fermata a norma di legge – spiegano fonti di governo – mentre quelli di ThyssenKrupp sono a piede libero benché con una condanna passata in giudicato». […]
Walter Rauhe Francesca Sforza per “la Stampa”