Il fine dei ”pirati umanitari” è demolire gli stati

di Gian Micalessin – – – Adesso Sea Watch ha calato la maschera e issato la sua vera bandiera. Quella della pirateria umanitaria. Una pirateria che, al pari delle navi corsare al servizio degli stati nazionali del XVII secolo non agisce per fini propri, ma per soddisfare gli interessi di nuove entità sovranazionali poco disposte a metterci la faccia. A garantire la «lettera di corsa» alle navi con teschio e tibie e il soldo ai loro capitani di ventura pensavano, un tempo, Paesi come Inghilterra, Francia e Spagna interessati a bloccare i commerci del nemico senza esibire e le proprie cannoniere. Oggi la pirateria umanitaria interpretata con un tocco di romantico femminismo dalla 31enne Carola Rackete, capitana di Sea Watch, svolge esattamente la stessa funzione.

La capitana Rackete che si dice in dovere di forzare il blocco «per salvare 42 naufraghi allo stremo» sa bene di mentire. E sa altrettanto bene che il suo aiuto ai quei 42 «naufraghi» sarebbe stato molto più sollecito se li avesse sbarcati in Tunisia o in qualsiasi altro porto del Mediterraneo raggiungibile durante i 15 giorni trascorsi a comiziare e far politica davanti a Lampedusa. Ma la «lettera di corsa» garantitale formalmente dall’opaca organizzazione umanitaria di cui è al soldo le richiede altro. Le richiede di approdare solo ed esclusivamente in Italia perché solo da quel ventre molle, dove l’anomalia di un esecutivo giallo-verde ostacola la compattezza dell’Unione, può iniziare lo sfondamento dei cancelli della «fortezza Europa».

La missione assegnata alla capitana Carola come a tanti altri capitani mercenari è insomma quello di penetrare in Italia per scavare una breccia nelle mura dell’Europa. Ma per conto di chi? La risposta è semplice. Per ottenerla basta seguire il denaro fatto affluire nelle casse di organizzazioni umanitarie come Sea Watch. Nel XVII e XVIII secolo i corsari servivano agli stati nazionali per garantirsi il controllo dei traffici.

Oggi i «pirati umanitari» servono a fare carne di porco delle frontiere e delle ingombranti legislazioni nazionali per far spazio ad entità multi o sovra-nazionali. Entità come i giganti del web o le grandi aziende globalizzate che considerano gli stati, i loro confini, i loro sistema fiscali e le loro leggi sul lavoro alla stregua di limitazioni obsolete da abbattere quanto prima. Spazzare via il concetto d’inviolabilità delle frontiere legittimando l’arrivo di manodopera a basso costo da trasformare in futuri consumatori dei servizi delle aziende globali è la via più breve per accelerare la fine dei vecchi stati nazionali.

Per questo la vera missione della capitana Carola non è quella di salvare o proteggere il carico umano di cui s’è impossessata andando incontro ai trafficanti e violando la zona di soccorso assegnata alla Libia. La vera missione di questa capitana di sfondamento è riversare quel carico umano nella breccia del vallo italiano per dividere il nostro Paese e spaccare l’Europa. Dribblando i divieti di Salvini e scaricando sulle coste italiane quei 42 migranti utilizzati alla stregua di ostaggi la Capitana avrà esaurito il suo compito.

Potrà dimostrare a chi la paga di aver contribuito a inasprire i rapporti tra l’Italia e un’Olanda che offre ai pirati di Sea Watch la sua copertura di bandiera. Potrà consolare le anime belle di una Germania che mentre lascia agire impunemente la concittadina Carola Rackete scarica in Italia migranti narcotizzati e si vanta di aver deportato in un Paese in guerra come l’Afghanistan più di 530 migranti irregolari.