Perché i radical chic votano Pd? Qui Roma, quartiere Prati

di Barbara Ruggiero

C’erano una volta a Roma tanti prati detti “Prati di Castello” con fiori ed osterie dove la gente andava a divertirsi, finché venne un giorno in cui i prati si ricoprirono di case e così nacque il rione Prati.

I grandi lavori edilizi della zona iniziarono nel 1888, ma la delibera comunale stabilì la costituzione del rione il 20 agosto 1921. La storia di questi prati è antica; risalgono topograficamente ai “prati neroniani” che andavano da Monte Mario al Tevere. I romani le conoscevano bene e nelle ottobrate vi andavano a fare merenda. La zona, tutta orti con qualche vigneto, era in realtà paludosa e malsana. Il rione Prati nacque dal reticolato geometrico del piano regolatore Viviani, di gusto piemontese: si voleva una “città europea” dai grandi viali e dalle grandi piazze, un rione di ironia anticlericale e massonica, che si traduceva nel fatto che la cupola di san Pietro non si sarebbe dovuta vedere da nessun luogo: infatti così è. Nel 1882 il Governo e il Comune stabilirono la costruzione delle caserme, la creazione di una piazza d’Armi, il sorgere di Palazzo di Giustizia. La zona vide una delle più grandi rivoluzioni urbanistiche nel periodo a cavallo della prima guerra mondiale e via Cola di Rienzo entrò da regina nella toponomastica romana quale vero, grande, tanto atteso “Corso di Roma”. E come non ricordare viale Mazzini, un nome entrato nell’immaginario collettivo per la notorietà di “mamma Rai”, e così via Teulada, via Asiago, via Col di Lana, tutte strade nominate nei telegiornali e sui quotidiani nazionali. Fondamentalmente, in questi viali, non c è proprio nulla, se non la conferma che queste vie residenziali, un tempo tendenzialmente di destra, da anni invece sono patria di numerosi radical chic e intellettuali di sinistra.

Chi sono i radical chic di questo quartiere con oltre 18 mila residenti, spalmato fra Rai e Vaticano? Un abitante di via Cola di Rienzo, figlio di un noto avvocato penalista, stralunato e infastidito dalle domande, racconta: “Vivo in Prati da generazioni, mio padre mi ha comprato la casa che ero ancora un ragazzo, ho frequentato il liceo classico Mamiani e partecipato alle attività anti-fà sia a scuola che all’Università, ho una casa in Sardegna, non molto grande, in costa Smeralda, dove trascorro le vacanze. Sono dirigente d’azienda, ho un Suv e una moglie avvocato, ho due figli liceali che frequentano il quartiere, possiedono entrambi una Microcar, pago 5 assicurazioni, gli amici vengono spesso a cena, ho 220 mq qui al terzo piano, mia moglie è una splendida padrona di casa”. Alla domanda per chi ha votato nelle ultime elezioni politiche risponde con un sorriso: “Mica vorrà scherzare, ho votato partito democratico”.

Inutile dirlo, il quartiere pullula di questi personaggi radical chic, tutti Rolex e grandi firme, abiti sartoriali e Smart, benpensanti e schizzinosi, con riprovevole disgusto verso i “borgatari”, quelli delle periferie. In Prati distinguersi dal resto dei romani è un ordine, l’ostentazione continua di stile, benessere e gusti politici è un simbolo. Tutti rigorosamente di sinistra – se mai ancora si può chiamare così – perché gli intellettuali e la cultura appartengono solo a chi vota partito democratico. Qui il popolo Pd è uno zoccolo duro della città.

Basta guardare le ultime amministrative del 2016 dove, a resistere all’ondata M5S, sono stati solo il I e il II municipio (Prati e Parioli, l’altro quartiere bene di Roma): ultimi baluardi di una sinistra che può’ dirsi, per il momento, cancellata, asfaltata, disintegrata, piallata, in tutte le sue facce, zingarettiana, turborenziana, orfiniana, calendaniana.

Insomma mentre i romani acclamavano vittoriosi il nuovo sindaco Virginia Raggi del M5S, gli abitanti di Prati piangevano lacrime amare. Anche se ora Virginia non è più tanto amata per via dell’irrisolta questione rifiuti.

E non parliamo delle elezioni politiche 2018: in Prati il centrosinistra ha ottenuto 324mila preferenze pari al 28,1% dei voti romani. Qui era candidato l’ex presidente del Consiglio Gentiloni , che ha fatto man bassa di consensi.

Insomma Prati, la zona della solidità, delle buone famiglie, del benessere diffuso, è dichiaratamente di sinistra. Quella sinistra annacquata in salsa liberal che ha come connotato un netto senso di superiorità morale. Essere di sinistra o pseudo sinistra, qui, ha un non so che di esclusivo e trendy, è l’emblema della diversità di classe e di potere, appartiene a quella contro logica che vedeva un tempo gli operai e i lavoratori baciare la falce e il martello in lotta continua proprio contro la borghesia. Oggi la situazione è decisamente capovolta, la borghesia di Prati si sente avvolta da concetti e paradigmi intellettualoidi, detentrice della cultura nazionale, essere di sinistra è ostentazione, è moda, è sentirsi diversi e migliori rispetto al popolo romano di periferia. Quello che, per intenderci, è tifoso accanito della Lega di Salvini.

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