Vladimiro Giacché: “Via da questa Europa, antidemocratica e inefficiente”

“L’Unione europea deve tornare a essere una difesa contro i mercati finanziari internazionali, si rifletta sul ritorno di Banche centrali nazionali”: il punto di vista di Vladimiro Giacché ospite della settima puntata di Testa o Croce.

 

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Una catastrofe l’uscita italiana dall’Euro? Le “catastrofi” annunciate le abbiamo già avute. L’Italexit non sarebbe un “viaggio” solitario ma farebbe crollare l’intero assetto su cui si poggia l’Euro. Ne è convinto Vladimiro Giacché, presidente del Centro Europa Ricerche. Nell’intervista a “Testa o Croce”, la trasmissione tv di Money.it dedicata al dibattito Euro sì/Euro no, l’ospite di questa settimana analizza gli effetti dannosi dovuti all’attuale assetto istituzionale ed economico europeo e paventa il rischio di una terza recessione che avrebbe conseguenze molto serie per l’Italia.

Gli effetti nocivi dell’Euro

La situazione italiana non è certo migliorata con l’ingresso nell’Euro. E non perché non siamo stati bravi a “fare i compiti”, ma perché alcuni meccanismi sono stati molto nocivi per il nostro Paese. Mettere assieme, sotto lo stesso cappello monetario, paesi con una produttività del lavoro molto differente ha creato numerosi problemi.

Una moneta unica vuol dire uno stesso tasso di interesse per tutti e la fine del rischio di cambio, non ci sono più cambi flessibili ma solo il cambio fisso. Questi due elementi di flessibilità sono venuti meno. Un problema soprattutto in fase di recessione: le economie che non hanno più questa flessibilità, che non possono più lavorare sui tassi di interesse poiché fissati centralmente ma non adeguati ai singoli paesi, ne risentono. E la nostra economia ha molto sofferto.

Abbiamo una Bce così indipendente che spesso sono i governi a esserne dipendenti, e ciò ha portato a non avere più un prestatore di ultima istanza: può intervenire solo in casi eccezionali e non può finanziare il debito pubblico. Elementi, questi, molto nocivi, come abbiamo potuto vedere quando è scoppiata la crisi. Alcune economie sono state colpite dalla speculazione, con il mercato che sapeva dell’assenza di copertura della Banca centrale per difendere i paesi di volta in volta in difficoltà. Copertura attivata solo quando è stato chiaro il rischio che l’intera area monetaria nel suo complesso saltasse.

Uscita dall’Euro: nessuna catastrofe

Sarebbe possibile uscire dall’Euro senza troppi contraccolpi?
Sono curiosi coloro che paventano una catastrofe dovuta all’uscita dell’Italia dall’Euro. Le catastrofi che vengono enunciate ci sono già.

Le crisi delle imprese le abbiamo già avute. Negli ultimi dieci anni abbiamo avuto la peggiore crisi dal 1861. Non abbiamo recuperato i livelli di Pil precedenti alla crisi, siamo rimasti indietro sugli investimenti e sull’occupazione. La catastrofe di fatto è ancora in corso.

Spesso si ha l’idea, a mio giudizio sbagliata, che l’uscita dell’Italia dall’Euro sia una sorta di viaggio solitario verso un’isola deserta, con la rimanente area Euro compatta. Questa raffigurazione è falsa. È impossibile che l’Euro resti in piedi senza l’Italia. Questo cambierebbe le previsioni che si fanno sulla svalutazione: una eventuale nuova moneta nazionale non svaluterebbe rispetto al resto del mondo, ma si comporterebbe di volta in volta in modo diverso rispetto alle altre monete.

Anche l’enorme inflazione prevista non è affatto realistica. Se prendiamo l’ultima svalutazione seria della lira all’uscita dallo Sme nel 1992, rispetto alla notevole svalutazione l’inflazione scese invece di salire. L’economia è più complicata di quello che sembra. Alcuni automatismi ripetuti in maniera meccanica non sempre si verificano, e l’abbiamo visto nel caso della Brexit. Quando c’è un governo della moneta con una banca nazionale, si può reagire agli shock in modo più efficace.

“Laboratorio Italia”

L’Italia è stata sicuramente un laboratorio nel passato: negli anni ’90 ha smantellato la sua economia mista in modo forte (e spero non definitivo). Vincemmo anche il premio di migliori privatizzatori del mondo, ma questo è il tipo di esperimento che non vorrei ripetere. Dovremmo fare piuttosto il contrario, trovando un bilanciamento tra pubblico e privato migliore dell’attuale.

L’intera Europa è un luogo di esperimento, ci sono tensioni molto forti anche in paesi dove non ci aspettavamo di vederli. C’è un enorme disagio, con una cattiva gestione della crisi che ha avuto delle gravi conseguenze sulla vita delle persone, e contemporaneamente vediamo un assetto istituzionale che non funziona e non si riesce a uscire dai problemi.

Si ritiene di poter reagire a una costruzione che ha fondamenta pericolanti (e mi riferisco all’unione monetaria) costruendo un altro piano composto da una difesa e da uno Stato comune che nessuno vuole in Europa. Questo è concettualmente sbagliato. Dobbiamo prima aggiustare quello che non funziona, se lo facciamo il progetto europeo potrà ripartire altrimenti si fa verso una forza centrifuga sempre più incontrollabile.

Una moneta non è solo una moneta

La lezione dell’unificazione delle due Germanie è stata molto istruttiva. Ci ha insegnato che una moneta non è mai soltanto una moneta, ma è espressione di un assetto istituzionale, di alcuni trattati.

Con la moneta i territori della Germania dell’Est acquisivano anche una forma di società. Anche con Maastricht noi abbiamo acquisito una forma di società. Una società dove la concorrenza tra i Paesi è basata sulla “rincorsa al ribasso salariale” e sulla tassazione delle imprese.

C’è una priorità economica che è la stabilità dei prezzi. Questa priorità è però contraddittoria con la priorità al diritto al lavoro ed alla remunerazione adeguata prevista dalla nostra Costituzione. Se io per avere la stabilità dei prezzi devo impedire che i salari crescano troppo creo un’elevata disoccupazione: in effetti per la commissione Ue oggi è normale che l’Italia abbia una disoccupazione del 10,5%. Per la Spagna è stato considerato normale un tasso di disoccupazione anche del 20%, un dato abnorme. Siamo all’interno di una forma di società neanche coerente con l’impianto disegnato dai nostri padri costituenti, elemento sottovalutato e che a mio giudizio va preso seriamente in considerazione.

Si utilizza la seconda parte dell’art. 11 della Costituzione per giustificare tutto questo. Un articolo che peraltro si riferiva a istituzioni internazionali e non sovranazionali come l’Ue. In secondo luogo evocava i trattati stipulati in condizioni di parità, cosa che non abbiamo avuto negli ultimi anni, e soprattutto era un articolo rivolto all’adesione dell’Italia all’Onu, cosa molto diversa. Altri Paesi nell’Ue, come la Germania, sono molto gelosi delle loro prerogative costituzionali, tanto che ogni nuova normativa di un certo rilievo passa al vaglio della corte costituzionale tedesca. Questo ha consentito di ottenere considerevoli vantaggi come la modifica di alcuni aspetti della normativa europea, limitandone l’applicabilità in quel Paese. Anche noi dovremmo imparare a farlo.

Il manganello dei mercati

Lo spread, per gli addetti ai lavori, era qualcosa di diverso fino a qualche anno fa, ossia la differenza tra tassi attivi e passivi. Il conto economico delle banche si faceva su questa differenza, per le persone normali era un termine quasi sconosciuto.