Il 26 maggio 2019 ci saranno le elezioni europee. Per esercitare correttamente il proprio diritto-dovere di elettore, votando, occorre che prima ciascuno conosca compiutamente i nodi sottesi alla scelta, che sappia bene quel che vuole e a chi vuol dare fiducia.
Ho l‘impressione che troppi ancora non abbiano le idee chiare. L’Europa può apparire come un tema astruso, riservato a chi ha una preparazione specifica. Ciò non di meno i cittadini sentono sulla propria pelle di vivere immersi in un problema che ha risvolti drammatici. E, in preda ad ansia e sfiducia, vorrebbero che qualcuno, con poche parole semplici ma credibili, li aiutasse a capire come uscire da una sorta di pantano esistenziale, in cui non sanno come sono finiti.
Quelli invece che sull’Europa hanno idee ben strutturate, che non vuol dire per forza condivisibili, sono, ovviamente, gli “alti esponenti” delle “cabine di regia” politiche europee, nazionali e internazionali, i tecnici, i tecnocrati, gli esperti, i membri dei gruppi di potere dell’economia, della finanza e dell’informazione, gli accademici, gli uomini delle istituzioni, delle lobby e dei partiti. E pure le organizzazioni religiose. Cito per ultimi i sindacati perché, appostati tra le quinte, non mostrano quale parte reciteranno sulla scena, né possiamo darla per scontata. Però non è detto che la “consapevolezza” delle “alte sfere” sia sempre produttivo di “bene comune”, e spesso infatti non lo è, dati i grossi interessi generali e settoriali in gioco.
In sintesi, nel contesto emergono almeno due livelli principali di consapevolezza: quello di chi è “addentro” agli ambiti e alle questioni tecniche e politiche dell’Europa e quello di chi ne sta fuori. Chi appartiene al primo livello, tenta di influire sulle idee di chi appartiene al secondo. E cioè a quel cittadino-elettore non particolarmente acculturato né aggiornato su temi complessi, che una volta veniva chiamato “l’uomo della strada” e aveva il suo corrispettivo femminile nella “casalinga di Voghera”. Questi due mitici personaggi stereotipati, bollati con l’ingenerosa qualifica di ignoranti, sono le vittime designate dei presunti esperti, che su di loro infieriscono usando incomprensibili terminologie tecniche infarcite di anglismi. Il che peggiora negli esiti un vezzo nazionale, cioè quello che induce tutti a dare dell’ignorante a tutti, ma poiché non si vuol dar a vedere di esserlo, nessuno mostra di non sapere di che si parla, o addirittura finge di poter spiegare agli altri quel che non ha capito. Come nella celebre gag di quel film in cui Totò e Peppino interpellano un vigile, a Milano, senza minimamente intendersi. (Totò a Peppino: “Lascia fare a me; dopo ti spiego”).
Un altro piano di presunta consapevolezza, più un atto di fede che una razionale convinzione, è quella dell’elettore che sceglie in base all’illusoria certezza che ci sia una parte politica buona a prescindere, ovviamente la sua, in contrapposizione alla parte opposta, cattiva in ogni caso. Ciò evita la fatica di pensare per capire e scegliere. E non è detto che sia un incolto, chi fa così. Nella migliore delle ipotesi è solo un disinformato su quel tema specifico, in quanto deve privilegiare altri temi per i suoi interessi, né può approfondire tutto. Nella peggiore, è un settario di basso profilo. (“Non capisco, ma mi adeguo”).
Metto per ultimo, ma non è il meno rilevante, il livello di consapevolezza di chi, pur non essendo “addentro” agli ambiti dei competenti, ha cercato di conoscere come stanno le cose documentandosi e confrontando le opinioni. Gli strumenti per approfondire non mancano purché si abbia il tempo, la voglia e le energie per partecipare a conferenze e dibattiti, documentandosi con idonee letture, data la ricca produzione editoriale di articoli, saggi e trattati sul tema. Ovviamente considero determinante per gli esiti elettorali una crescita di questo tipo di consapevolezza generalizzata, frutto di riflessione e conoscenza di fonti attendibili. Rinvio per ora la compilazione di una bibliografia cui dovrei fare riferimento. Cito solo, per cominciare, due libri datati ma ancora validi: quello di Ida Magli, “La Dittatura Europea”, che nel titolo anticipa il nodo della questione, nonché quello di Daniel Estulin , “Il Club Bilderberg” che fornisce informazioni utili a completare il quadro. Nel quale, oggi, giocano il loro ruolo le superpotenze, il globalismo mercantile tecnocratico capitalista, i loschi traffici su un’immigrazione manovrata, l’espansionismo islamico e il ricatto terroristico, che completano quadro e cornice.
LA UE: PROBLEMI E SCRICCHIOLII. La perfezione è irraggiungibile e la UE lo conferma, alla grande. Ce ne siamo accorti però in modo traumatico, perché, dopo il varo della nuova moneta dell’Unione, constatammo tutti in breve tempo che con l’euro era crollato il nostro potere d’acquisto. Ciò era conseguenza anche di una speculazione sui prezzi che, per quanto prevedibile, non era stata arginata, forse intenzionalmente. Rinvio le spiegazioni in merito. Per ora dico che, toccati “nella tasca”, ci svegliammo dal sogno di una sperata nuova prosperità, ritrovandoci penalizzati, a livello sia di interesse individuale sia di interesse pubblico. Cercammo quindi in ritardo di capire come funzionasse la UE, visto che il nostro entusiasmo europeista ci aveva sospinto, con cieca fiducia, verso la nuova realtà, pur senza conoscerla a fondo, ma confidando eccessivamente nei nostri decisori politici che ci avevano condotto a quel punto. Al diminuito potere d’acquisto, si aggiunse nel tempo anche un progressivo rincaro del costo della vita, un innalzamento della pressione fiscale, un incremento costante del debito pubblico e pure della disoccupazione giovanile. Patimmo anche l’accresciuta distanza tra la democrazia partecipativa dei cittadini-contribuenti-elettori e il nuovo potere europeo, lontano non solo geograficamente. Alle istanze popolari, la risposta di ritorno era invariabilmente integrata con un “Ce lo chiede l’Europa” . “Vuolsi così così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”.
Le risposte ottenute apparivano all’uomo comune inintelligibili, perse nel vuoto dell’ineluttabile. Il che ebbe però effetti collaterali in vari paesi d’Europa: delusi dalla diminuita capacità di risposta dei poteri pubblici nazionali depotenziati, e data la difficoltà oggettiva di una interlocuzione diretta con Bruxelles, i movimenti localisti, e in qualche caso anche quelli secessionisti, come in Catalogna, ripresero vigore, in ciò sostenuti dalla galassia di esigenze e problemi evidenziati dai contesti locati di tipo associativo, professionale, economico, amministrativo, ecc.
I cittadini cercavano un ambito decisionale democratico ravvicinato, di cui avevano bisogno. D’altronde il varo della UE era stato di poco preceduto in vari stati, compreso il nostro, dalla concessione di maggiori autonomie locali e di conseguenti decentramenti amministrativi, con cui i cittadini ormai interagivano, mentre i poteri centralizzati dell’Unione parevano contrapporre a questo assetto una realtà politico-amministrativa contraddittoria, che procedeva in senso inverso. Da ciò il palesarsi nel tempo dell’istanza di un nuovo SOVRANISMO DIFFUSO a livello locale, diverso e distinto dal vecchio nazionalismo. La nuova nazione, che questo tipo di sovranismo va ormai teorizzando, si dovrebbe basare su un potere policentrico, diffuso, reticolare, che parta dalla “base” e con ciò determini una nuova entità nazionale, legittimata dal basso, su cui una nuova Europa si possa costruire. Tale struttura statuale non ripropone modelli nazionalistici, ma ne suggerisce uno nuovo e l’Europa attuale, irrigidita teutonicamente nelle sue regole dettate dalla finanza speculativa e non dalle vere esigenze dei cittadini, non pare accorgersene.
I centri di potere dell’Unione colgono solo un’opposizione critica alla UE e definiscono in modo spregiativo il risveglio della volontà di partecipazione e di autodeterminazione popolare con il nome di POPULISMO, credendo con ciò di svilire agli occhi dell’opinione pubblica un movimento cui non sa e non può adeguatamente rispondere, se non tentando di squalificarlo. Chi prende per buona questa autolesionistica difesa di una UE, che avrebbe invece un grandissimo bisogno di rinnovarsi, ricade nella vecchia trappola della “reductio ad Hitlerum”, teorizzata da Leo Strauss. Il sistema tenta cioè di togliere credibilità alle istanze di un populismo,( che non è quello storico, contadino del XIX secolo, o le sue successive versioni in varie paesi ) e di ostacolare un’istanza di sovranismo, definendolo col consueto armamentario di accuse: fascista, razzista, xenofobo, isolazionista e chi più ne ha più ne dica. Senza sforzarsi di capire che cosa sta cambiando e ad ogni buon conto, puntando i piedi. Oppure puntando i piedi proprio perché quelle critiche denunciano “che il re e nudo” e la presa di coscienza che ne deriva può cambiare tutto e togliere il potere a chi ce l’ha.
CHE COS’E’ LA UE? La contestazione anti-UE ne mette a nudo l’inconsistenza giuridica. La Ue non è una confederazione, né una federazione, né uno stato, né un’alleanza. Si dice: è un’unione. Ma un’unione non ha come tale una dimensione giuridica univoca, originale, originaria e specifica. Fra l’altro come unione è alquanto disunita al suo interno: è dominata politicamente dalle nazioni più forti (Germania e Francia), non sempre in sintonia per i più vari motivi con Italia, Spagna e Portogallo. Schiaccia le più deboli, come la Grecia, di cui quasi più non si parla. Perde pezzi per strada: il Regno Unito ha scelto di uscirne. E’ caratterizzata da sottogruppi nazionali che tendono a differenziarsi dalla politica della UE, come i “paesi del gruppo di Visegrad”.
Non ha saputo contrapporsi alla scellerata avventura guerresca voluta da un suo stato membro, la Francia contro la Libia, con danni d’ogni tipo per l’Italia. Peraltro se pezzi di un’Unione hanno fatto una guerra, vuol dire che già all’epoca l’Unione era a pezzi. E’ per ora tenuta insieme da una moneta unica , che appartiene alla BCE, e di cui può disporre però secondo parametri fissati da altri.
I lacci connessi all’euro più che un legame per l’Unione, ne determinano la sofferenza. La UE non è nemmeno un segno di democrazia. Non ha una costituzione e il trattato di Lisbona, che doveva generarla, è rimasto solo un trattato maldigerito anche da chi l’ha sottoscritto. In ogni caso un trattato non è una costituzione, che solo un’entità statuale può darsi. E la UE, come già detto, tale non è . E’ governata da una Commissione, i cui membri sono nominati dai governi che ne hanno facoltà. Ha un parlamento elefantiaco che rappresenta i cittadini di 28 paesi, ma ha scarsi poteri . Ha un Consiglio europeo formato dai leader politici a livello nazionale ed europeo che dovrebbe fissare le priorità dell’azione politica, e un Consiglio dell’unione in cui i governi tentano di difendere i rispettivi interessi nazionali. Con il seguito di ulteriori consessi, uffici e organismi per le più varie esigenze. Un macchinoso e vasto apparato che costa un mare di soldi, senza neppure avere il pregio di incarnare una democrazia così efficace ed efficiente da giustificare la spesa. Ma è poi la cosiddetta “troika” che decide. La UE è quindi più definibile per ciò che non è, che per quel che è, o che per convenzione si dice che sia.
MA GLI EUROPEISTI SE NE SONO ACCORTI? Chi si mostra critico verso la UE e l’euro, viene accusato di antieuropeismo. Quindi fascista, retrogrado, populista e via salmodiando. Non esiste ancora nei codici il reato d’opinione di “lesa UE”, ma continuando così, possiamo aspettarcelo. Però si teme la disgregazione dell’Europa, che sarebbe poi solo una conseguenza del suo attuale assetto, e allora si ricordano con nostalgia i padri del pensiero e del progetto europeo , e in particolare gli italiani che vi contribuirono. Ricorre così la citazione del “Manifesto di Ventotene” specie da parte di chi, da sinistra, difende questa UE. ( Il manifesto di Ventotene: solo un assurdo inno ad una dittatura mondiale)
Ma quali corrispondenze sussistono oggi tra questa UE e il citato Manifesto? Quali compatibilità tra il disegno socialista di un’Europa di popoli affrancati dal bisogno e dall’ingiustizia, con questa UE legata a quello che viene chiamato “turbo-capitalismo finanziario speculativo” per i cui interessi i popoli possono essere costretti a periodi di austerità, sotto la minaccia di quel cappio ricattatorio che è lo “spread“?
Al centro delle attenzioni della UE non sono posti i cittadini ma la moneta unica e il pareggio di bilancio, tant’è che questo è assurto a principio costituzionale, affinché non venga intaccato un sistema intangibile. Fu proprio per difendere l’intangibità del sistema,che venne fatto nascere il governo Monti, quello uscito dal cappello di Napolitano , che fece Monti senatore a vita e poi , a stretto giro , presidente del consiglio. Monti, quello che si vantò di ” aver distrutto la domanda interna” in Italia, cui avrebbe dovuto poi sopperire un intervento della UE, che non ci fu. Ne conseguì un altro taglio al potere d’acquisto e alla capacità produttiva del paese, letale tanto per i ceti sociali più deboli quanto per gli imprenditori in difficoltà. Ci impoverì tutti, e così iniziò un nuovo declino economico, che non s’è ancora fermato. Aumentarono i suicidi per cause economiche, ma diminuì lo spread. Quale successo per Monti !. E che sollievo per l’Europa!
Ai fini dell’impoverimento generale bisognava infierire sui pensionati. Quando la Fornero tagliò le pensioni, non scoppiò la rivolta, né si mosse una foglia: tanto aveva già pianto lei per tutti. Nella politica di casa nostra, lo stesso fatto è lecito se lo commettono gli uni, illecito se lo commettono gli altri. E quelli che subiscono (sempre gli stessi) sono tenuti a protestare in un caso e a star rigorosamente zitti nell’altro. E poi dicono che gli italiani sono indisciplinati – Macché, obbediscono! E’ questa l’Europa che sognavamo? Gli europeisti ne volevano e ne vogliono un’altra, che metta al centro i cittadini e non la moneta unica: quell’euro che nel titolo del libro di Domenico Longo, fu definito “La truffa del secolo”. Se non riformiamo la Ue e il suo sistema monetario, il rischio che corriamo con questa moneta unica è che un giorno o l’altro in tasca ci resti solo un’unica moneta. Poiché la libertà, civiltà e la democrazia le avremo già perdute.
Vittorio Zedda