Vogliono creare la FIOM dei sagrestani. “Basta lavorare in nero”

L’obiettivo è fomentare l’inevitabile ira della gente contro la Chiesa quando si renderà conto che siamo stati ridotti nelle condizioni della Grecia (ancora non ce ne accorgiamo perché ancora le tasse vere, l’IMU, non le abbiamo pagate, e del patto di stabilità non abbiamo ancora dovuto rendere conto)
Intanto a ogni nuovo provvedimento, a ogni nuovo voto di fiducia, i media e le  televisioni asservite al governo del monopensiero eurocratico agli ordini di una elite finanziaria mondialista ci raccontano che all’estero parlano bene di Mario Monti, ma siccome – ahiloro – esiste internet sappiamo bene che sono tutte falsità.

Sul quotidiano Repubblica si parla della protesta dei sagrestani. Leggiamo insieme:

ALBINO (BERGAMO) – Ce ne è uno quasi in ogni parrocchia: il loro sindacato, la Fiudacs, vuole metterli in regola. Ma per ora ci sono pochi assunti (con un contratto da 1.260 euro) e migliaia di volontari. Così, nelle pause del ritiro spirituale dei sacristi, si parla di diritti, straordinari, ferie e riposi

I sacerdoti ringraziano il Signore per il cibo portato in tavola: risotto primavera, pollo e verdure. I sagrestani pregano prima e dopo il pasto. Non sembra proprio di essere a una riunione della Fiom. Eppure, nelle pause di questo “ritiro spirituale dei sacristi” dove si medita su “la famiglia, il lavoro, la festa”, il mondo normale non è tagliato fuori.
Si parla infatti di contratti, di straordinari, ferie e riposi. E soprattutto
di un mestiere, quello del sagrestano, che potrebbe dare uno stipendio a migliaia di persone. “E invece noi sacristi regolarmente assunti, siamo pochi, troppo pochi. La nostra associazione, la Fiudacs – dice Maurizio Bozzolan, presidente nazionale – è nata già nel 1970 ma gli iscritti sono 850 in tutto. A Milano, dove io lavoro, su mille parrocchie ci sono 85 sacristi regolari, e metà di loro sono pensionati”.
In Italia ci sono 25.800 parrocchie, e in quasi tutte c’è un sagrestano che un
tempo aveva un ruolo preciso nella gerarchia: era al terzo posto, dopo il
parroco e il cappellano. Adesso è una nebulosa, in un mondo dove ci sono i
volontari veri e quelli che risultano tali solo perché non hanno nessuna busta paga.
Non sarebbe male, un posto da sagrestano. L’ultimo contratto, firmato pochi mesi fa, prevede 1.260 euro al mese e da quest’anno, per la prima volta, ci sarà anche la quattordicesima. Un mese di ferie e altri 10 giorni di congedo per “esercizi spirituali e aggiornamento liturgico. Nel nuovo contratto, anche l’obbligo di controllare e pulire il sagrato.
“Con la crisi che c’è – dice il presidente della Fiudacs (Federazione italiana unioni diocesane addetti al culto sacristi) – le domande di assunzione non mancano. Solo io ricevo almeno due o tre telefonate al giorno. Ieri mi ha chiamato un camionista che aveva perso il lavoro. Certo, prima di metterci alla ricerca, ci informiamo. A chi è stato a Messa l’ultima volta dieci anni fa, diciamo che quello del sagrestano non è il mestiere giusto”.

E precisa: “Nel contratto c’è scritto che il sacrista deve avere un ‘ottimo comportamento morale, religioso e civile’. Il nostro è un lavoro delicato. C’è il licenziamento per giusta causa ‘per diffusione di notizie riservate, conosciute in ragione di servizio, riguardanti l’attività pastorale e il ministero sacro svolto nella chiesa’. Ma la cosa più difficile è trovare nuovi posti di lavoro, anche perché certi preti, che hanno il sagrestano non in
regola, da questa campana proprio non ci sentono. La nostra Confindustria si chiama Faci – Federazione tra le associazioni del clero in Italia – e ci dice
sempre che le parrocchie non possono spendere tanto. Ci sono però anche le parrocchie ricche, con più di 10.000 fedeli, e anche quelle non ci ascoltano.
Abbiamo chiesto alla Faci di fare un censimento dei sagrestani, per poter mettere sotto contratto chi già lavora magari da anni. Non ci hanno nemmeno risposto”.
Maurizio Bozzolan lavora – dalle 7,30 alle 12 e dalle 15,30 alle 19,30 – nella chiesa di Sant’Agostino di Milano. “Ricordo il sagrestano del mio paese, a
Fratta Polesine, nei primi anni ’60. Affittava a 20 lire le seggiole in chiesa,
portava nelle case le candele della Candelora e l’ulivo. Riceveva un po’ di
soldi, salami, uova e vino. Non aveva stipendio ma riusciva a vivere con le
offerte e lavorando nei campi del parroco”.
Insomma, i precari non sono un’invenzione moderna. “Una strada ci sarebbe – dice Aldo Doliana, sagrestano a Tesero e vicepresidente nazionale della Fiudacs – per trovare nuovi posti di lavoro. Basterebbe destinare parte dell’8 per mille a corsi di formazione per sagrestani e per dare loro uno stipendio vero, pagando ad esempio i contributi. Si potrebbero creare subito 5.000-10.000 posti, sarebbe un aiuto anche all’economia. Qui nel Trentino invece solo 6 sacristi hanno la busta paga. Gli altri risultano volontari, come del resto sono io, che però ho 63 anni, ho fatto l’imprenditore e me lo posso permettere. Agli altri il parroco allunga i soldi per una pizza e magari qualche centinaio di euro a Natale, ma nessuno di loro riesce a mantenere una famiglia.
C’è anche un consulente del lavoro, per la Fiudacs. “Il sagrestano costa –
dice il dottor Carlo Balzarini – il volontario no. Devo dire però che fra i
parroci, più che volontà di fare lavorare in nero, ci sono approssimazione e
superficialità. Certo, il confine fra volontariato e lavoro nero è molto
sottile. Quando un sagrestano chiede di essere assunto, noi dobbiamo dimostrare che già esiste un rapporto di subalternità e di continuità. Se ci sono queste condizioni e il parroco non accetta il contratto, ci rivolgiamo al vescovo, che spesso interviene e ci dà ragione”.
Monsignor Luciano Vindrola fino a ieri ha guidato la Faci, la Confindustria dei sacerdoti ed è ancora parroco a Beaulard in Val Susa. “Un tempo c’erano i preti ricchi che gozzovigliavano e quelli poveri che tiravano la cinghia. Ora tutti ricevono fra gli 800 e i 900 euro al mese. Chi può permettersi di pagare 1.200 euro a un sagrestano?”.

“Anche mio padre Primo – racconta monsignor Ernesto Vecchi, vescovo
emerito a Bologna – era sagrestano a Decima di Persiceto. Le sue entrate? Come si usava allora, raccoglieva le “primizie” dai contadini. Grano, canapa, uva che poi vendeva. Ma per mantenere noi figli doveva fare anche il calzolaio. È stato il Concilio Vaticano II a cambiare tutto, quando ha
stabilito che la parrocchia non è del prete ma della comunità, e i fedeli sono
chiamati a farsi carico delle pulizie, dell’assistenza alla liturgia, del
catechismo…”.
Il cammino della Fiudacs, l’associazione che vorrebbe diventare una timida Fiom dei sagrestani, sembra davvero in salita.