Bergoglio: «Chiese vuote? Vendiamole per dare una mano ai poveri»

CITTÀ DEL VATICANO Senza andare troppo lontano basterebbe fare una passeggiata per il centro storico della Capitale e contare il numero delle chiese che non vengono più utilizzate, da anni desolatamente chiuse per mancanza di fedeli e sacerdoti. Edifici consacrati ma totalmente inattivi. A Roma, come altrove, in un futuro prossimo, è possibile che possano essere alienati dal patrimonio ecclesiale e destinati ad altri usi. Il dilemma che si sta ponendo il Vaticano è con quale criterio procedere e che indirizzo unitario dare a tutte le conferenze episcopali d’ Europa che, per forza di cose, vista la secolarizzazione galoppante della società, si trovano ad affrontare.

Come scrive il Messaggero, se tanti edifici di culto finiranno per essere venduti che uso finale dovrebbero avere? Papa Francesco valuta con filosofia il fenomeno, forse perché sa che il cristianesimo nel Vecchio Continente è destinato a diventare una minoranza. Tanto vale affrontare con buon senso e lungimiranza la questione. «Bisogna constatare che molte chiese fino a pochi anni fa necessarie, ora non lo sono più, per mancanza di fedeli e di clero, o per una diversa distribuzione della popolazione della popolazione nelle città e nelle zone rurali; questo va accolto nella Chiesa non con ansia, ma come un segno dei tempi».

Vendere, dunque, non è di certo un tabù ma, naturalmente – seconda regola individuata – la «dismissione non deve essere la prima e unica soluzione». In ogni caso sulle chiese vuote è necessaria una valutazione in una prospettiva ben più ampia del solo ritorno economico. Il sociologo Luca Diotallevi ha pochi dubbi sul fatto che per il Vaticano si tratta di un problema scottante considerando che da tempo parecchie chiese continuano ad essere chiuse. «Si sta verificando una generale trasformazione urbana con lo sviluppo di nuovi contesti urbani e delle città globali. Questa è una questione civile che si riflette nelle chiesa mentre emergono nuove società senza stato». In Italia il discorso delle dismissioni è ancora solo una prospettiva.