Fine della sinistra. Crollo dei simboli. Bologna, dagli anziani alla strage

di Antonio Amorosi

“Accoglienza? Ho 500 euro di pensione al mese, ci siamo capiti?”, dice il signor Petazzoni di 80 anni, nell’assemblea riparatrice organizzata dal circolo Arci Benassi di Bologna, dopo le interviste pro-Salvini a La 7 degli anziani del centro. Come a dire “con 500 euro al mese chi vuoi che accolga!?”. Ed è questa la sintesi fulminante dell’assemblea indetta mercoledì scorso sul tema migranti, accoglienza e d’intorni per scegliere da che parte stare. Con la sinistra o con Salsini.

A sinistra anche il nocciolo duro del proprio elettorato, gli anziani, sembra perso e in città roccaforti come Bologna. Debolezze, fragilità, disoccupazione e povertà si sono sommate dopo un decennio di crisi economica davvero duro. I figli si arrabattano e i nipoti non lavorano, la sanità è di qualità sempre più scadente e i giardinetti sono pieni di immigrati a zonzo. A poco serve, in un contesto completamente mutato, la retorica di partito e tutti i “vantaggi” che questo portava.

L’assemblea inizia alle 19.00 e dopo un’ora c’è la semifinale Inghilterra-Croazia. “Si parla tanto della perdita di contatto con le persone, ma come la vogliono definire una riunione che comincia alle 19 quando alle 20 ci sono i mondiali?”, si chiede Massimo, 67 anni, ex comunista, intervistato da La Repubblica di Bologna. Dopo un’ora di autocoscienza scatta la scissione e una parte del pubblico va a vedersi il match con poco più in là gli immancabili umarels giocatori di carte neanche sfiorati dal dubbio. In assemblea (200 persone) si discute con passione e c’è un po’ di tutto, da chi sostiene che i migranti sono troppi e chi paragona Salvini a Mussolini, chi spiega che non ci si può commuovere per 12 bambini thailandesi nelle grotte e poi essere indifferenti a quelli che affogano nel Mediterraneo e chi obietta sui censimenti Rom di Salvini, ma anche chi esalta le magliette rosse ciottiane o chi con maniere spicce toglie la parola all’assessore Matteo Lepore reo di non aver rispettato i tempi del suo intervento.

Il tentativo di recuperare gli iscritti continua così, tra leit motive privi di valore simbolico e discorsi subliminale innocui che non sfiorano la scorza di chi non vuole più saperne di sinistra. Come l’idea dell’Arci che per il prossimo anno avrà la tessera con su disegnato un barcone di migranti che naviga verso la scritta Arci.

L’apice dell’incontro si raggiunge quando prende la parola Angela Sciavilla, una delle fondatrici di un laboratorio teatrale che coinvolge i migranti. Racconta che dopo due anni di attività al centro sociale Croce del Biacco, a pochi chilometri dal Benassi, i soci anziani hanno deciso di non ospitarli più, sembra per gli stessi motivi per i quali gli altri parteggino per Salvini. Segno per i molti presenti del disfacimento di certi valori. Così l’associazione teatrale si è rivolta alla parrocchia antistante.

Presente alla serata del Benassi il consigliere comunale della Lega Umberto Bosco che ad Affaritaliani ha commentato così l’incontro: “Ha sfilato una sinistra autoreferenziale chiusa in se stessa, incapace di fare passi avanti e di affrontare il dissenso interno ed esterno. Hanno toccato il fondo e cominciato a scavare.”

Ma la sinistra è fatta di simbologie e di monumenti. E questi non si sgretolano in un giorno. La rigidità consolida i blocchi di potere e li rinnova nel tempo uguali a se stessi, l’ideologia e la retorica limitano ogni rinnovamento ma meglio di tutti fa la sciatteria, con contributi mirabolanti. Piccoli segni che danno il senso di cosa si è e come lo si è diventati.

La strage di Bologna è, suo malgrado, un simbolo fondamentale della retorica della sinistra italiana (dovrebbe essere simbolo di tutti e non di una parte, nonostante le responsabilità accertate). Bene. Dopo 38 anni non conosciamo ancora i mandanti e molti dubbi albergano sulle dinamiche. Dopo tutti questi anni di legittime e auspicabili celebrazioni, inchieste, racconti, convegni, film, spettacoli, libri, manifestazioni, teorie, complotti ed ogni sorta di evento si è scoperto che le macerie della bomba alla stazione (che ha procurato 85 morti e 200 feriti), sono state per 38 anni buttate nel cortile di una caserma (l’ex San Felice in via Prati di Caprara a Bologna), esposte ad ogni tipo di intemperie ed oggi coperte da una fitta vegetazione. E non è una circostanza irrilevante perché la Corte di assise di Bologna, che sta celebrando un nuovo processo per scoprire i mandanti, aveva qualche settimana fa disposto una nuova perizia chimico-esplosivistica sull’ordigno, al fine di comprenderne davvero la provenienza, vista la richiesta di rileggere gli atti alla luce delle conoscenze di oggi e di cercare, se esistenti e conservati, frammenti utilizzabili per le analisi.

In più si è scoperto che alcuni nomi delle vittime, scritte sulle lapidi, sono sbagliati: una lettera è errata in un nome italiano e una dieresi è mancante in un nome tedesco. Piccole sciatterie che dopo decenni denotano qualcosa di più di una mancanza.

Il Comune di Bologna ha disposto l’intervento dovuto di sistemazione che riguarderà la lapide nella sala d’aspetto (dove esplose la bomba), quella all’esterno della stazione e in piazza Nettuno.

Una lapide e delle macerie che spiegano la realtà meglio di qualsiasi altro disfacimento.

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