Errani, il governatore Pd che ripudiò il fratello. Il presidente dell’Emilia Romagna equipara sposi e coppie di fatto, ma in privato non ha mai voluto frequentare il figlio segreto del padre Ezio. Abbandonato dalla famiglia, dopo 65 anni il tribunale stabilisce la verità.
di Stefano Filippi – 18 marzo 2010, 08:34
Massa Lombarda – Vasco Errani, governatore democratico dell’Emilia Romagna, ha un fratello segreto. Un congiunto che conobbe da ragazzo e poi non ha più visto né voluto vedere, di cui non ha mai parlato in pubblico, quasi fosse una vergogna o un peso. Non ha mai stretto la mano a sua moglie, non ha abbracciato i suoi figli e i suoi nipotini. Non si è mai interessato se fosse in buona salute, quale lavoro facesse, se avesse bisogno di soldi. Ha ignorato il suo dramma, la vita dolorosa di un ragazzo ripudiato da due padri, marchiato alla nascita come «figlio di N. N.», vissuto in un orfanotrofio fino ai 19 anni, accolto freddamente in casa Errani e da lì cacciato ancora una volta.
Il fratello negato si chiama Luciano Arlati e vive a Imola. Quest’uomo alla ricerca di se stesso e di chi gli diede la vita, ancora oggi, alla soglia dei 65 anni, nella Massa Lombarda che è patria sua come dell’intera dinastia Errani (il sindaco è la nipote di Vasco, Linda, figlia dell’altro fratello Giovanni), per la strada e alla bocciofila viene apostrofato con quattro cognomi diversi: quello di Errani, quello della mamma, quello del marito della madre (che lo disconobbe), e quello affibbiatogli dal tribunale di Ravenna quando aveva pochi mesi. Dal febbraio 2010 una sentenza del medesimo tribunale riconosce in via definitiva la paternità naturale di Ezio Errani, morto nel 2000.
Pare che Vasco e Giovanni pretendano dal fratello la firma sotto una liberatoria in cui egli rinuncia a ogni diritto patrimoniale. Sembra dicano: ok, sei stato riconosciuto, puoi fregiarti del nostro riverito nome, adesso torna da dove sei venuto. Il governatore Vasco Errani è prodigo di elargizioni regionali verso la cooperativa Terremerse di cui il fratello Giovanni era presidente. Il politico Vasco Errani è aperto a tutto il «nuovo» in tema di diritti civili: la legge finanziaria dell’Emilia Romagna equipara sposi e coppie di fatto nelle graduatorie per l’assistenza agli anziani, nell’accesso ai servizi sociali, alla sanità, al prestito d’onore. L’uomo Vasco Errani è un totem insensibile ai traumi subiti dal fratello Luciano.
È una storia della guerra, quella di Arlati. Venne al mondo che il conflitto era appena finito. Sua madre, Maria Gianstefani, rimase incinta che aveva due figli adolescenti e un marito sul fronte africano. Suo padre, Ezio Errani, era un trentenne senza legami che approfittò della promiscuità e dello smarrimento in cui si tirava a campare nelle campagne della Bassa ravennate dove erano sfollati. Quando nacque, il 12 giugno 1945, Luciano non trovò nessun papà ad accoglierlo. Errani, che pure aveva vissuto qualche mese assieme alla compagna incinta, non volle saperne. Il marito tradito, il reduce Dino Lusa, lo disconobbe e qualche mese dopo abbandonò il tetto coniugale. La legge di allora impediva alla madre di riconoscere la prole nata fuori dal matrimonio. Così al «figlio della colpa» fu tolto il cognome di famiglia e gliene fu appioppato uno di fantasia. Per due anni si era chiamato Lusa, ora diventava Arlati.
La mamma lo tenne con sé. Vivevano in una casa di fortuna a Massa Lombarda assieme alla famiglia della sorella Dea, che era già sposata. A sette anni Luciano fu spedito in un collegio per orfani a Imola. Vi rimase 12 anni sempre con gli stessi vestiti, la stessa mantellina nera, lo stesso marchio di infamia: un «esposto», un figlio di N. N. Mai che Ezio Errani si sia fatto avanti, mai nulla che potesse alimentare nel piccolo Arlati il sentore di avere un padre e due fratelli vivi a pochi chilometri da lui. Solo la mamma Maria lo andava a trovare ogni domenica in bicicletta e se lo portava a casa qualche breve periodo in estate.
Luciano lasciò il collegio nel giugno 1964. In ottobre la madre morì. Lui, che nel frattempo aveva trovato lavoro nella Distilleria Mazzari, partì per il militare e al termine andò ad abitare dalla sorella. Fu lei un giorno del 1966 a presentargli una persona che gli voleva parlare.
Era Ezio Errani, cinquantenne, sposato, due figli: Giovanni, classe 1946, e Vasco, nato nel 1955. Guidava una grossa cooperativa agricola del Ravennate, la Cor di Mezzano presso Alfonsine. Era un pezzo grosso del partito comunista, presidente della commissione morale della sezione di Massa Lombarda.
Luciano fu accolto con freddezza in quella rigida famiglia patriarcale. Per Luciano fu uno choc doppio: incontrare improvvisamente suo padre e scoprire che la sua nuova casa gli era ostile. Di colpo venne a sapere che la sorella era al corrente di tutto ma l’aveva tenuto sempre all’oscuro. E che a Massa Lombarda molti chiacchieravano ma nessuno aveva mosso un dito per aiutarlo. Quella porta aperta poteva essere l’inizio di una nuova vita. Ma Luciano Arlati non ricevette mai il calore di quella famiglia, nessun gesto dettato dal cuore, un atto di affetto, un tentativo di farsi carico del suo accidentato percorso di vita. Arlati versava al padre tutto lo stipendio di operaio e ne riceveva quattro soldi che Errani annotava con scrupolo su un foglio.
Quella gelida convivenza, piena di tensioni e incomprensioni, durò due anni. Nel 1967 Ezio Errani fece capire a Luciano che era meglio se sgombrava. Giovanni lo trattava con distacco, Vasco aveva 12 anni ed era più indifferente. Arlati fu cacciato senza soldi, senza casa, solo con la sua valigia. Si sposò e non ebbe più contatti con il padre e i fratelli. In cuor suo nutriva la speranza di poter essere riconosciuto, ma i rapporti si ruppero. Dagli Errani non partì nessun segnale di riavvicinamento, nemmeno una telefonata dopo il 30 dicembre 2000 quando il patriarca Ezio morì senza aver rivisto il figlio abbandonato né aver voluto conoscere nipoti e pronipoti.
È nel 2006, sei anni dopo la scomparsa del genitore, che Luciano Arlati si decide a intraprendere la via delle aule di giustizia per vedere sancita quella paternità negata. Vasco e Giovanni Errani e la vedova Teresina Geminiani non hanno ostacolato il riconoscimento dello stato di figlio naturale, ma si sono opposti alle sue richieste di contenuto economico che non riguardavano una fetta del testamento ma il fatto che il padre si sia sistematicamente disinteressato al mantenimento di Arlati minorenne. Il tribunale di Ravenna (città dove vive Vasco) ha accolto le indicazioni della famiglia Errani: sì alla richiesta di paternità, no a quella economica.
Arlati non ha presentato appello: non erano i soldi che gli interessavano. Non ne ha mai ricevuti e non ne ha bisogno neppure ora: ha lavorato 40 anni come operaio, ha sempre pagato l’affitto, i due figli sono grandi e laureati, la pensione basta per lui e la moglie Beatrice, i due nipotini sono la luce dei loro occhi.
La sentenza è diventata definitiva poche settimane fa e l’11 febbraio 2010 la cancelleria del tribunale l’ha spedita all’ufficiale di stato civile del comune di Massa Lombarda, dove è registrato l’atto di nascita di Luciano Arlati. E dove il sindaco Linda Errani firmerà l’annotazione anagrafica che riguarda il suo nuovo zio.
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Il modello Emilia: soldi e favori al fratello del capo
di Stefano Filippi – 17 ottobre 2009, 07:00
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nostro inviato a Bagnacavallo (Ravenna)
Errani finanzia Errani. Vasco, presidente pd dell’Emilia Romagna (oltre che della Conferenza stato-regioni), sovvenziona il fratello maggiore Giovanni, presidente della cooperativa Terremerse aderente a Legacoop. Tutto alla luce del sole, esistono delibere, perizie, fatture in una catena di stranezze e irregolarità. Che si spiegano solamente con il collaudato sistema di potere locale che sorregge le società rosse attraverso la triangolazione istituzioni-coop-partito.
Un intreccio tra politica e affari che risalta nella storia di questa cooperativa agricola di Bagnacavallo operante tra Imola e il Ravennate. A cominciare dai nomi dei protagonisti: la famiglia Errani (Vasco, Giovanni e la figlia di quest’ultimo, Linda, sindaco della vicina Massa Lombarda, paese natale di tutti e tre); Guido Tampieri, anch’egli di Massa Lombarda, ex dirigente di Cgil e Pci-Pds-Ds, ex assessore regionale all’Agricoltura, ex sottosegretario del ministro De Castro nell’ultimo governo Prodi; Massimo Marchignoli, allora sindaco di Imola, ora deputato pd.
Siamo nel 2005. Terremerse naviga nei debiti per una serie di scelte gestionali criticate da molti soci e dalla locale Confederazione italiana agricoltori. Come risollevarsi? Semplice: si chiedono soldi alla Regione e favori alle istituzioni. Approfittando del piano regionale di sviluppo rurale, la coop di Errani Giovanni progetta un nuovo stabilimento vinicolo finanziato dalla Regione di Errani Vasco per un milione di euro (su una spesa prevista di due milioni e mezzo), mentre i Comuni di Imola e Massa Lombarda trasformano in zona residenziale ad alto indice un’area produttiva di Terremerse. I terreni resi edificabili vengono successivamente acquistati da Unipol Merchant Bank, Coop Adriatica e Federcoop Ravenna. Ciliegina sulla torta, dopo qualche mese la cantina viene ceduta nonostante l’esplicito divieto della Regione.
Il 14 novembre 2005 il dirigente regionale Carlo Basilio Bonizzi (l’assessore è Tampieri) finanzia il nuovo impianto enologico stabilendo che i lavori dovranno terminare entro il 30 aprile 2006 e che il contributo sarà erogato dopo i controlli. Ma il 30 aprile i cantieri sono ancora aperti perch´ Terremerse non aveva ancora ottenuto dal Comune di Imola il permesso di costruire, avendolo richiesto soltanto il 28 marzo.
Il milione di euro rischia di saltare. Come salvarlo? Ecco che scatta il «soccorso rosso»: il 27 aprile la coop chiede un mese di proroga, l’11 maggio la Regione concede il rinvio, il 23 maggio il Comune sblocca i lavori. La giustificazione del ritardo è spassosa: la «prolungata piovosità del periodo invernale» che ha «impedito ai mezzi meccanici di entrare sul lotto». Peccato che l’inverno 2005-06 sia stato tra i più asciutti degli ultimi anni.
Il miracolo si compie. Terremerse ottiene il permesso di costruire il 23 maggio, e il 31 dichiara formalmente alla Regione che i lavori sono ultimati. Incredibile ma vero. Una settimana per costruire un grande stabilimento vinicolo. Altro che il sottosegretario Bertolaso: Berlusconi avrebbe dovuto chiamare Giovanni Speedy Gonzalez Errani a ricostruire le case dell’Aquila dopo il terremoto, e arruolare anche il suo staff amministrativo che in un giorno solo (31 maggio) ha fatto il giro dei fornitori, ottenuto l’emissione delle fatture (tutte con la stessa data), le ha registrate e saldate con la liquidità preparata nei giorni precedenti.
Non c’è bisogno di dire che la realtà è tutt’altra. Dal rendiconto ufficiale presentato il 15 giugno risulta infatti che i lavori sono iniziati il 22 febbraio, tre mesi prima che fossero autorizzati. Da notare che il Comune aveva imposto una serie di opere preliminari, tra cui «i preventivi adempimenti per le costruzioni in zone sismiche». Sono stati davvero eseguiti? Il dubbio è fortissimo. Anche perch´ Terremerse non fornisce neppure il certificato di agibilità e conformità edilizia che era tenuta a presentare assieme al rendiconto e alla dichiarazione di fine lavori. Una inadempienza clamorosa. Ma la Regione chiude un occhio, anzi tutti e due, e il 20 giugno Bonizzi attesta che «tutti i termini previsti sono stati rispettati».
Qualcuno però si accorge che non tutto è a posto. Così, poche settimane dopo, si corre ai ripari con un provvedimento confezionato dall’assessore Tampieri su misura per la coop che tanto sta a cuore alla famiglia Errani. La delibera di giunta del 4 settembre (votata anche dal governatore) prevede che i lavori possono considerarsi conclusi «anche in assenza della documentazione relativa alla certificazione di conformità edilizia e agibilità delle opere realizzate». Quel certificato sarà depositato l’11 gennaio 2008. Terremerse è salva, il contributo pure.
Come mai mancava l’agibilità? Negligenza del Comune di Imola? Niente affatto. Il motivo è diverso: i lavori erano ancora in corso e nessuna certificazione di conformità edilizia poteva essere chiesta. L’istanza viene depositata il 7 agosto 2007. Riepiloghiamo: la coop di Errani ha iniziato i lavori senza permessi (e il Comune imolese si è ben guardato dall’interromperli, sanzionare la coop e segnalare l’abuso in procura); li ha completati largamente oltre il termine; ha violato svariate clausole, tuttavia con l’aiuto della Regione guidata da Errani junior è riuscita a incassare un milione di euro.
Ma c’è dell’altro. Terremerse si era impegnata «in modo pieno e incondizionato» a non distogliere dalla prevista destinazione per almeno dieci anni gli immobili e gli impianti, e per almeno cinque anni le attrezzature mobili e i macchinari beneficiari del contributo, pena la perdita dei soldi. Che cos’ha fatto invece Errani senior? Ha ceduto le attività vitivinicole (compresa la struttura finanziata dalla Regione) alla neonata cooperativa Terre Imolesi, che a sua volta è stata fusa con la coop faentina Copa nella Cantina dei colli romagnoli. Nulla di tutto questo è stato comunicato alla Regione e il contributo è rimasto nelle casse della società presieduta dal fratello del governatore. La Regione sorvola anche quando Terremerse evita di dichiarare la produzione vitivinicola dell’anno 2006/2007. Si ripete un copione già visto: nulla da dichiarare, nulla era stato prodotto perch´ il cantiere della cantina pagata dalla Regione era ancora aperto. Non era stato vendemmiato neppure un grappolo d’uva.
La coop di Giovanni Errani non poteva rinunciare a quel milione. Essa perdeva dai 6 ai 7 milioni di euro all’anno che un trucco contabile consentiva di nascondere. Terremerse infatti all’occorrenza vendeva immobili – con plusvalenza – a una sua controllata, la Unagro srl, senza pagare il corrispettivo: in questo modo i crediti compensavano i debiti. Per esempio, il bilancio di Terremerse al 31 dicembre 2004 registra un credito di 2.604.000 euro per un bene ceduto e non pagato.
A sua volta, l’immobiliare Unagro è stata trasferita per circa 14 milioni di euro a Federcoop di Ravenna, Unipol Merchant Bank e Sara (società controllata da Coop Adriatica), a un prezzo molto inferiore a quello di mercato, in barba al principio dell’indivisibilità del patrimonio delle cooperative a mutualità prevalente. I consiglieri di amministrazione di Unagro hanno appreso dell’operazione soltanto al momento della cessione delle quote.
Ma nemmeno questo vorticare di soldi e di terreni raddrizza la pericolante situazione finanziaria della società di Giovanni Errani. Occorrono nuovi capitali. E l’iniezione tocca agli enti locali amministrati da parenti e compagni di partito. Il Comune di Imola rende edificabile l’area dell’ex stabilimento di via Cavina facendogli assumere un valore sui 17 milioni di euro. I maligni mormorano che sia stata questa operazione a garantire all’allora sindaco Marchignoli, grande amico di Vasco Errani e di Pierluigi Bersani, la promozione in Parlamento. E anche il Comune di Massa Lombarda (sindaco Linda Errani, figlia di Giovanni) regala l’edificabilità a un’area di circa 6mila metri quadrati che ospitava celle frigorifere.
Ci pensa poi Tampieri, divenuto nel frattempo sottosegretario alle Politiche agricole del governo Prodi, a tappare altri buchi. Appena insediato alla Direzione generale controllo qualità del ministero, stipula con Terremerse una convenzione per il progetto «Territori e mercati in rete». Di fatto è un modo per scaricare costi del personale tecnico e amministrativo di Terremerse sul dicastero: pare che numerose firme di dipendenti non siano autentiche e che altri abbiano firmato senza che venisse loro spiegata la vera ragione. L’operazione valeva altri tre milioni di euro in tre anni.
Dal bilancio 2008, infine, emerge un ultimo dato: l’ingresso di due soci sovventori con un apporto di un milione di euro ciascuno. Sono due persone fisiche: il presidente Gianni Errani e il nuovo amministratore delegato Oriano Mezzetti. Da dove proviene tutto quel denaro fresco?