Ormai ci siamo: Dall’ 1 luglio 2018 i datori di lavoro e i committenti non potranno più pagare i lavoratori in contanti, qualunque sia il rapporto subordinato instaurato. Lo ha stabilito la legge di Bilancio 2018 (n. 205/2017) approvata dal governo Gentiloni. Dietro ci sarebbe la nobile motivazione di voler tutelare i lavoratori che dietro minaccia di licenziamento sono costretti ad accettare in contanti somme minori rispetto a quelle indicate sul contratto. Anche la firma del lavoratore sulla busta paga non costituisce in alcun modo prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione. Deve esserci una traccia digitale.
Il costo del lavoro dichiarato da un’azienda è quasi sempre la principale voce passiva di un bilancio. E il discorso per questo appare più complesso e sembra più indirizzato a colpire esclusivamente il variegato mondo privato e quella particolare fattispecie di lavoro nero e di quei settori economici che non usufruiscono di appoggi politici. Infatti alcuni settori come la pubblica amministrazione potranno ancora pagare i lavoratori in contanti. Quasi che lo Stato sia garanzia di trasparenza e correttezza a priori, quando sappiamo che non è così e che la realtà è ben più articolata.
Stesso discorso vale per alcune economie come le cooperative o presunte tali che fanno dumping fiscale (distorsivo della concorrenza) e che potranno continuare ad usufruire di agevolazioni fiscali esorbitanti, tali da garantirsi una sorta di evasione per legge a fronte di altri soggetti che anche giustamente non potranno sfuggire alle maglie del fisco (con il nero nel lavoro). Infatti solo grazie a questa condizione le coop sono egemoni in moltissimi mercati.
La nuova norma si applica per ogni rapporto di lavoro subordinato, normale o in “smart working” (che non prevede vincoli orari o spaziali), indipendentemente dalla durata (full o part-time) o che si tratti di contratti di collaborazione coordinata e continuativa e di contratti di lavoro delle cooperative con i propri soci.
Le forme di pagamento consentite sono tutte coloro che lasciano traccia: il bonifico diretto sul conto del lavoratore, ogni pagamento di tipo elettronico, i contanti ma solo presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro deve aver aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento, con assegni in caso di impedimenti.
Nei confronti dei datori di lavoro e committenti che trasgrediscano alla norma sono previste sanzioni amministrative che vanno dai 1.000 ai 5.000 euro (per il lavoro nero le pene sono più gravi).
Restano esclusi dall’applicazione della norma “i rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni (art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001)” e “i rapporti di lavoro domestico (legge n. 339/1958)” con badanti e colf che lavorano per almeno 4 ore al giorno presso lo stesso datore di lavoro e rientrano nell’applicazione dei contratti collettivi nazionali per gli addetti a servizi familiari e domestici, stipulati dalle associazioni sindacali.
Si stringono per tanto le cinghie del sommerso e del nero e nella vulgata della sinistra italiana sembra andare tutto per il meglio.
Per il carattere e le conseguenze del provvedimento occorre però tenere presente studi come quello dello Stratfor Global Intelligence di Austin, Texas, una delle maggiori società americane di analisi geopolitiche ed informazioni economiche. Il Centro americano in piena crisi economica, nel 2012 ( con lo studio “Il paradosso dell’economia sommersa italiana”, dedicato all’Italia di Mario Monti) spiegava il mancato default del Belpaese grazie a “L’economia sommersa” e al cosiddetto lavoro nero, oscillante dal 17 e il 21% del Pil, una cifra che si aggirava tra i 270 ai 340 miliardi di euro. “Il risvolto positivo, se così si può dire, è che l’economia sommersa ha ammorbidito gli effetti della crisi, al punto che se si combinano attività economiche alla luce del sole, evasione e attività criminali, l’Italia risulta un Paese molto più in salute di quel che sembra”. Qui un riferimento.
Una dura realtà che però appare più complessa di politiche dirigiste e ottocentesche in cui il centro dell’universo economico è lo Stato. Alla necessità di trasparenza e di giusta retribuzione dei lavoratori non corrisponde un ruolo dello Stato che reinveste in servizi, sanità o Welfare ma di uno Stato che fagocita sempre maggiori risorse al fine di ingrassare senza limiti la propria macchina burocratica. Come neanche tanto paradossalmente aveva spiegato il premio Nobel all’economia Milton Friedman nel 1994: “L’Italia? E’ più libera di quanto crediate, grazie al mercato nero e all’evasione fiscale”. Un paradosso che andrebbe meditato restituendo allo Stato il ruolo di regolatore generale e non di sanzionatore e arma per alcuni a danno di altri.