MILANO, 19 MAR – La finanza islamica esiste in Europa da ormai quarant’anni e un Paese europeo, la Gran Bretagna, e’ ai primi posti al mondo, cosi’ come altri, Malta ad esempio o Lussemburgo, sono da tempo all’avanguardia. Ora, anche in Italia, dove il settore invece e’ ancora praticamente inesistente, si iniziano ad affacciare i primi esperimenti.
Deloitte, ad esempio, gia’ nel 2009 ha costituito un settore dedicato alla finanza islamica. ”In questo momento – spiega Alberto Liotta, direttore della societa’ di consulenza, ospite di un convegno sul tema organizzato dalla Islamic Relief Italia – stiamo sviluppando prodotti compatibili con l’ordinamento italiano. L’attenzione e’ rivolta soprattutto a strumenti della finanza convenzionale, come il leasing, che possono essere avvicinati come concetto a quelli della finanza islamica”.
”In Occidente – afferma Alberto Brugnoni, direttore di Assaif, un’altra associazione di consulenza – emerge una forte domanda di finanza basata su principi religiosi e questo per via della crescita della classe media musulmana, dell’interesse per i prodotti ‘halal’ anche da parte della finanza etica e perche’ ci sono un mucchio di soldi da fare. Anche grossi fondi di investimento infatti puntano su questo non tanto per un interesse quanto per diversificare il loro portafoglio”.
Eppure, nonostante se ne parli ormai da qualche anno, in Italia i tempi non sembrano ancora maturi per la nascita di una vera e propria banca islamica retail sul modello della Islamic Bank of Britain. ”In realta’ – afferma Valentino Cattelan, esperto del settore e docente all’universita’ di Roma Tor Vergata – a livello regolamentare anche in Italia sarebbe possibile farla nascere perche’ il sistema e’ armonizzato in tutta Europa. Il problema, dal punto di vista di un investitore, e’ che sarebbe un affare ancora poco profittevole per via di problemi fiscali e perche’ ancora non esiste un mercato valutato come utile”. (ANSAmed).