Omicidio Moro, “fu un attacco alla sovranità del nostro Stato”

Quarant’anni sono trascorsi da quando il suo corpo fu trovato in una Renault 4 rossa e tante domande restano ancora senza risposta. Sarà Gero Grassi, componente della commissione bicamerale sul caso Moro, a parlare all’Istituto Pontano di Napoli dei risultati e della relazione approvata a dicembre scorso dal Parlamento. Secondo quanto scrive il magistrato ed ex procuratore della Procura antimafia Franco Roberti sul Corriere del Mezzogiorno, saranno illustrate le novità cui la commissione è pervenuta. Ciò “partendo dai risultati già raggiunti in sede giudiziaria e dalle precedenti commissioni parlamentari e sviluppandoli attraverso l’acquisizione di nuovi documenti, accertamenti diretti anche a mezzo della polizia giudiziaria e libere audizioni”.

La morte dello statista

Alla base del discorso il fatto ormai risaputo che “la morte di Moro era servita a bloccare la strategia della solidarietà nazionale. L’attrazione del Pci di allora nell’ambito della base democratica per sottrarlo all’influenza sovietica. Una finalità non gradita a settori politici conservatori italiani ed anche a settori internazionali. Sia dell’alleanza Atlantica che dell’area sovietica.

Una “verità di comodo”

 La novità principale offerta dalla commissione – sempre a leggere il Corriere – sarebbe proprio che intorno a quel gravissimo delitto politico “fu costruita una verità di comodo”,  che “circoscriveva le responsabilità ai soli brigatisti, per nascondere la verità indicibile”. Ovvero che “l’omicidio di Moro aveva visto il coinvolgimento diretto dei servizi segreti di paesi alleati con la complicità, a vari livelli, di apparati interni e della mafia”.
Aldo Moro

In pratica “un attacco alla sovranità del nostro Stato”. L’obiettivo finale, alla fine, sarebbe stato perseguito e sarebbe consistito nella “fine della solidarietà nazionale”. L’opera di “disinformazione avrebbe coinvolto ex terroristi, esponenti istituzionali ed altri soggetti ben individuati”. Una verità alla fine sconvolgente, su cui ci sarebbe ancora da andare a fondo.

“Far luce sulle eventuali responsabilità”

Non si tratterebbe tuttavia di “sminuire il ruolo del partito armato e dei condannati nei vari processi” bensì di “far luce – magari soltanto in seda storica – sulle eventuali responsabilità di quanti orientarono e sfruttarono consapevolmente l’azione brigatista per finalità politiche e geopolitiche del tutto autonome rispetto a quelle originarie dei terroristi, se non addirittura contrapposte a queste ultime”, si legge sul Corriere del Mezzogiorno.

Servirebbe a questo punto approfondire ulteriormente la vicenda, anche per vedere se si può superare la contrapposizione tra “due posizioni ormai sclerotizzate: storia tutta italiana o complotto internazionale?”

“Voglia di dimenticare”?

L’impressione tuttavia, secondo il giornale, è che ci sia “voglia di dimenticare”. Una voglia a cui il nostro Paese dovrebbe tuttavia non abbandonarsi. Anche perché “la sfiducia dei cittadini verso le istituzioni nasce dalla percezione di una non volontà di queste ultime di fare opera di verità sugli eventi tragici che hanno cambiato il corso della nostra storia. Sulla capacità di reagire a questa triste deriva si gioca il futuro della nostra Repubblica”.

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