‘Camici bianchi’ in via d’estinzione? Dopo i ripetuti allarmi sulla carenza dei medici di famiglia, le stime sugli specialisti non fanno prevedere nulla di buono. Se a far sentire la propria voce nei mesi scorsi erano state le singole società scientifiche, dai cardiologi ai geriatri, preoccupati per la mancanza di ricambio generazionale, i numeri forniti dall’Anaao Assomed all’Adnkronos Salute mettono in luce come, a passarsela male nel prossimo futuro, saranno ben 10 specialità.
“Per quanto riguarda gli specialisti, nei prossimi cinque anni (2018/2022) usciranno dal Ssn per pensionamento circa 30.000 medici ospedalieri, cui sono da aggiungere ulteriori 5000 specialisti tra universitari e ambulatoriali convenzionati”, spiega Carlo Palermo, vice segretario nazionale Anaao Assomed.
Senza misure correttive, rapide e mirate, potremmo dunque trovarci a dover ‘importare’ pediatri, igienisti, cardiologi e chirurghi. “Le specialità maggiormente carenti – prevede Palermo – saranno pediatria, chirurgia, ginecologia, medicina interna, cardiologia e ortopedia”. Ma l’elenco è lungo: vi figurano 10 voci. “In mancanza di sostituzioni, difficili per i vuoti oggettivi, le conseguenze sul sistema delle cure saranno drammatiche – avverte – a partire dalle strutture più periferiche, che avranno grandi difficoltà a reclutare i pochi medici presenti sul mercato. La soluzione inevitabile sarà la chiusura di numerosi reparti periferici, in particolare punti nascita, se non di interi piccoli ospedali posti in zone disagiate, dove rappresentano l’unico presidio sanitario”, prevede l’esperto.
I NUMERI – Più in dettaglio, nel 2014-2023 raggiungeranno i requisiti per andare in pensione 5.189 pediatri, si faranno contratti di formazione per 2.900 specialisti e dunque ne mancheranno all’appello circa 2.289. Allarmanti anche i dati degli igienisti: 4.006 andranno in pensione, 1.400 ne arriveranno e la carenza stimata è di 2.606 specialisti. Quanto ai cardiologi, ne andranno in pensione 3.615, se ne formeranno 2.480 e dunque la carenza stimata è di 1.135 professionisti. Poco meno degli specialisti in chirurgia generale: 4.054 appenderanno il camice al chiodo, e con 2.710 new entry le ‘assenze’ saranno 1.344. Altro dato allarmante quello di ginecologia: tra addii (3.674) e ingressi (2160) il saldo negativo è pari a 1514.
Ancora un tasto dolente, questa volta per psichiatria: 2.482 specialisti andranno in pensione, 1820 entreranno in servizio e dunque ne mancheranno 662. Quanto a medicina interna la differenza tra pensionati (2804) e neospecialisti (2280) è pari a -524. Quanto a ortopedia, urologia e geriatria le carenze stimate sono rispettivamente pari a 182, 143 e 142 specialisti. Facciamo dunque i conti con ‘camici bianchi’ sempre meno giovani, che spesso si trovano a lasciare senza aver trasmesso il loro sapere alle nuove generazioni. L’ingresso nella professione è ‘a ostacoli’, controllato dal numero chiuso. E ancora molti giovani ‘cervelli’ optano per l’estero.
Occorre dunque tener conto della ‘gobba demografica’: come mostrano i dati del 2008 su 118mila medici dipendenti del Ssn, le classi di nascita più rappresentate erano quelle relative agli anni ’50. Insomma, gli specialisti attivi invecchiano e prima o poi lasceranno il posto, ma oggi non sembra ci siano sufficienti giovani per rimpiazzarli. E a pagare rischiano di essere ancora una volta i pazienti.
I RISCHI PER LE STRUTTURE – La carenza di medici specialisti rischia di pesare duramente sull’assistenza sanitaria ai cittadini. “La riduzione del personale potrebbe trascinare un ulteriore calo dei posti letto, fino a 40.000 in meno, portando il rapporto al di sotto del 2,5 per mille abitanti. Cosa che collocherebbe l’Italia all’ultimo posto in Europa” è l’analisi di Carlo Palermo.
“Negli ospedali – aggiunge – date le condizioni operative dei reparti di specialità mediche e chirurgiche si dovranno concentrare le attività sui pazienti ricoverati, venendo a mancare il personale e gli orari necessari per mantenere aperte le attività ambulatoriali, diagnostiche e cliniche. Come ad esempio per i pazienti affetti da patologie croniche in stadio avanzato, in particolare scompenso cardiaco, Bpco con insufficienza respiratoria, insufficienza renale”. E i Pronto soccorso italiani “potrebbero diventare gironi infernali con pazienti in attesa per giorni di un posto letto che non c’è, in condizioni precarie, insicure e disumane, sperando che una barella sia disponibile”. Un quadro drammatico. “Basta vedere i Pronto soccorso di medi e grandi ospedali delle nostre città nei periodi di picco epidemiologico invernale e poi immaginare l’operatività di quell’ospedale con un 20-30% in meno di medici, infermieri e posti letto”.
LA VOCE DELLE SOCIETA’ SCIENTIFICHE – L’emorragia di medici specialisti in Italia “è già realtà. Qualche giorno fa la nostra società scientifica è stata contattata dalla Regione Emilia Romagna che chiedeva se c’erano specialisti disposti ad andare al Nord, con assunzione diretta. Una richiesta che abbiamo girato a tutti i primari di ginecologia d’Italia. E a un recente concorso per un posto a tempo indeterminato per un ginecologo, su 28 domande si sono presentati in due”. Parola di Paolo Scollo, direttore della Ginecologia dell’Ospedale Cannizzaro di Catania e past president Sigo (Società italiana di ginecologia e ostetricia), sentito dall’Adnkronos Salute sulla questione della carenza di specialisti in Italia, dai ginecologi ai pediatri, dai chirurghi agli igienisti.
“Si fatica a trovare ginecologi soprattutto al Nord. E pensando al prossimo concorso a Belluno per 4 posti, penso che potrebbero esserci difficoltà. Oltre al fatto che gli specialisti invecchiano e non c’è sufficiente ricambio, per noi c’è un problema geografico: in molti negli anni scorsi si sono trasferiti dal Meridione perché al Nord c’erano più posti e concorsi. Ora però iniziano a farsi concorsi anche al Sud, e i colleghi vogliono tornare a casa”. Insomma, se nei prossimi anni sconteremo una carenza di ginecologi, “il problema si sente già: bisogna intervenire con una politica sanitaria e una programmazione serie, un compito che non è solo del ministero della Salute, ma anche del Miur e del dicastero dell’Economia. Quello che mi preoccupa di più – sottolinea Scollo – è che nessuno ci stia pensando”.
“Sono molti anni che leviamo alta la voce su questo problema, che accomuna ospedali e cliniche universitarie ormai in crisi. I pediatri sono sempre meno, e l’assistenza ai bimbi è a serio rischio”, gli fa eco Alberto Villani, presidente della Società italiana di pediatria (Sip). Si fanno sempre meno bambini, ma anche i ‘dottori dei piccoli’ stanno sparendo. “In molte strutture l’attività va avanti grazie all’impegno e al sacrificio dei colleghi: non ci sono più orari o turni che tengano. La ‘sofferenza’ è un fatto oggettivo, e dobbiamo pensare che si tratta di specialisti che assistono neonati, bimbi malati di tumore come nel caso dell’oncologia pediatrica”.
A preoccupare Villani è il fatto “che questa situazione si trascina da tempo, e che occorrono molti anni per preparare un vero specialista”. In pratica, “oggi un pediatra over 60 va in pensione senza trasmettere la sua conoscenza”. Per Villani “va potenziato il numero degli specializzandi, formarli ha un costo notevole e noi ci troviamo di fronte al paradosso di molti eccellenti colleghi che, una volta formati, vanno all’estero”. Il presidente della Sip indica due “misure essenziali: aumentare il numero di pediatri in formazione ed elaborare strategie mirate per contrastare le carenze in futuro. Stiamo elaborando delle proposte, speriamo che il prossimo Governo ci ascolti. La situazione è ormai drammatica, ci auguriamo, nell’interesse dei bambini, che non prevalgano esigenze corporativistiche”. Villani invita poi a una riflessione: “Cosa vogliamo per i nostri figli e i nostri nipoti? L’Italia sta già scontando il fatto che la maternità socialmente non è più un valore, e questo è un dramma. In più abbiamo un milione di bimbi con necessità assistenziali particolari. Che cure vogliamo garantire ai nostri piccoli?”, si chiede.
E ancora. L’emorragia di igienisti non stupisce Carlo Signorelli, past president Siti (Società italiana di igiene medicina preventiva e sanità pubblica) e direttore delle Scuole di specializzazione in Igiene e medicina preventiva all’Università di Parma e all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. “I nostri sensori interni ci portano a dire che gli specialisti mancheranno sempre di più, anche per la grande richiesta rispetto ai neospecializzati, legata al fatto che sul territorio e nelle direzioni sanitarie servono competenze nuove: penso ad esempio al risk management e alla prevenzione in sanità”.
“I dati dell’Anaao sono omogenei e congruenti con i nostri rilievi. E l’auspicio è che a livello di programmazione si tenga conto di questi numeri per evitare carenze che rischiano di incidere su aspetti tanto delicati quanto cruciali, come la prevenzione e la gestione del rischio”. Altrimenti, molto semplicemente, “la sanità funzionerà peggio”, conclude Signorelli.
Quanto alla carenza dei cardiologi, se l’Anaao stima circa 2.300 specialisti in meno entro il 2023, “io sono convinto che saranno ancora di più. Le carenze già si fanno sentire, nelle strutture pubbliche e in quelle private. E adesso abbiamo una realtà a macchia di leopardo, che sconta una perdita di personale del 20% rispetto a 10 anni fa”, sottolinea Francesco Romeo, past president della Sic, direttore Uoc Cardiologia e cardiologia interventistica del Policlinico Tor Vergata di Roma. “Facciamo i conti ogni giorno con una drammatica carenza di organico – denuncia – e la situazione nel futuro è destinata a peggiorare. Non è più rinviabile una seria programmazione delle esigenze su base nazionale: tener conto solo del dato regionale è sbagliato. Anche perché nel pubblico – conclude – abbiamo ancora Regioni in piano di rientro, che non assumono da anni: qui sono penalizzati i livelli di assistenza e la ricerca”. ADNKRONOS