di Antonio Amorosi – – affaritaliani.it
I cittadini hanno il diritto di segnalare liberamente alle autorità competenti i comportamenti e i fatti relativi a funzionari pubblici che ritengono irregolari o illegali. Non dovranno più temere cause di questi ultimi se non con intenti temerari.
Denunciare, indicando accadimenti specifici non è reato, anche se si usa un linguaggio aspro. L’importante è che le espressioni siano contenute, opportune e pertinenti. E’ quanto ha stabilito, con una sentenza (la numero 43139), il 21 settembre scorso, la sezione Feriale della Suprema Corte di Cassazione annullando la sentenza di condanna di un cittadino catanese che aveva segnalato all’autorità competente il comportamento di un funzionario pubblico.
Un atto che potrebbe aprire uno spiraglio sulle tante cause giudiziarie intentate, per puro interesse civico, da tanti cittadini italiani contro la Pubblica Amministrazione e spesso sedate dalla paura di ripercussioni e rappresaglie giudiziarie. Un sentenza importante in grado di essere un precedente rilevante per le cause del futuro.
In Italia vige il cosiddetto “civil law”: le sentenze non possono valere come leggi. Ma quelle, come in questo caso, della Suprema Corte di Cassazione (parliamo dell’istituto di punta del nostro sistema giurisdizionale) restano fonti autorevoli che si possono citare davanti ad un giudice e di cui questi tiene conto.
Nei vari gradi processuali della vicenda specifica la condotta dell’imputato era stata ritenuta offensiva della professionalità del funzionario. E il cittadino era stato condannato. Ma l’interessato aveva proposto ricorso in Cassazione sostenendo di aver solo esercitato il suo diritto di critica, senza trascendere in espressioni di per sé offensive o inopportune, e di essersi limitato a contestare fatti ben precisi e accaduti che riteneva illegittimi. Il tutto è accaduto fino al punto di presentare una denuncia al giudice amministrativo, il quale, peraltro, non aveva affermato la legittimità dell’operato del funzionario accusato ma solo respinto la richiesta di risarcimento avanzata dal cittadino (che aveva anche un interesse legittimo).
La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso di quest’ultimo evidenziando come questi si fosse limitato, rispettando i limiti della pertinenza dell’argomentazione e della verità dei fatti esposti, a spiegare che il funzionario del caso non avesse rispettato il suo dovere di imparzialità. Per tanto aveva inviato una missiva indirizzata agli organi di controllo denunciandone l’operato.
Tra le motivazioni della decisione dei giudici viene citata un’importante sentenza della Corte Europe dei Diritti dell’Uomo, la numero 14881/2003 riguardante un editore contro il governo russo.
Nel dicembre 2015 la Corte condanna la Russia per gli aspetti controversi della sua legislazione sulla sorveglianza segreta e sulle intercettazioni individuali di un editore. Questi riceverà un risarcimento di 40,000 euro. Infatti poiché la cornice legale russa riguardo alle intercettazioni delle comunicazioni telefoniche non offre alcuna tutela adeguata ed efficace contro gli abusi viene di fatto infranta la libertà dell’individuo.
Vi sarebbe stata in questo caso la violazione dell’art. 10 della convenzione sulla “libertà di espressione” ed i suoi limiti. Vicenda che calza perfettamente con il caso del cittadino catanese: i cittadini hanno il diritto di segnalare liberamente alle autorità competenti i comportamenti dei funzionari pubblici che ritengano irregolari o illegali. Non sono per questo in alcun modo punibili.