La lunga marcia di morte del comunismo

di Emanuele Ricucci

Echi lontanissimi, in tempi di caccia alle streghe, di legge Fiano. In tempi di negazione e rivalutazione storica superficiale. Di fragilità infantile, in cui spaventa un accendino con la faccia di Mussolini. Echi lontanissimi. Così rarefatti da sembrare un’orribile favola. Un incubo, una carezza distratta e ricomincia di nuovo il sonno profondo. L’eterno sonno della dimenticanza. Echi lontani, come le voci di Palden Gyatso, monaco tibetano che per ben 33 anni ha subito ogni sorta di vessazione fisica nelle galere cinesi, perché “il Tibet appartiene ai tibetani”. O come quella, tra follia e regime, di Andrea Bertazzoni, comunista italiano che nel 1932 emigrò in Russia per sostenere, col suo lavoro, l’affermazione del socialismo, producendo Gorgonzola; le striature verdi nel formaggio risultarono come veleno agli occhi di un funzionario di Stalin e Bertazzoni fu accusato di “sabotaggio social-fascista e congiura trotzkista”, con relativo arresto e condanna a morte, poi scampata.

Cos’è stato il comunismo? Solo una visione del mondo e della società? Purtroppo il socialismo reale non si è fermato qui. A raccontare la lunga marcia di morte del comunismo, storia di vittime e sparizioni, di gruppi etnici cancellati, di silenzi, ci ha pensato Lodovico Ellena – ricercatore storico e collaboratore di riviste universitarie e filosofiche – con il libro Il comunismo in bianco e nero (Solfanelli, pp.144, 12 euro). Storie minori, agli occhi degli uomini, come quella di un ragazzo cinese che nel 1989, ben tredici anni dopo la morte di Mao, fu condannato a trent’anni di carcere per aver imbrattato di fango la faccia del Grande Timoniere impressa su un cartello.

Echi. Solo alcune voci. Troppo poche per arrivare alle 85-100 milioni di vittime sacrificate nel mondo sull’altare del comunismo – «cifre ampiamente accettate – ricorda l’autore – anche da buona parte degli ambienti culturali di sinistra» -. Tra le pagine, quei figli di un Dio minore che non hanno meritato la giustizia del ricordo. Ancora sotto i ghiacci della Siberia o terra per vermi nelle campagne del nord Italia. Completo e particolarmente efficace il lavoro di Ellena che è il risultato di una lunga ricerca e raccolta di materiale, documentazione e testimonianze che raccontano le dinamiche di potere nei Paesi “rossi” e la metamorfosi violenta del comunismo mondiale: dalla «distruzione della moralità, della famiglia cristiana», dello Stato, portando gli operai all’amore per il disordine, secondo Togliatti in una lettera del 1947, alla firma di Stalin, nel 1937, delle liste di condanna con 44mila nomi; tra il ‘37 e il ’38, in Russia, gli arrestati furono ben sette milioni, di cui un milione furono fucilati e altri due milioni morirono nei lager.

Un lavoro, quello dell’autore, che nasce dalla lettura di testi abbandonati all’oblio, in cui sono stati quasi maniacalmente collezionati frammenti di quotidianità dei paesi comunisti. Si tratta dunque prevalentemente di notizie minori. Un giro del mondo e del tempo: dai massacri del comunismo cinese – di ieri e di oggi: nel solo anno 2000, in Cina sono state eseguite oltre mille condanne a morte –, a quello russo dei gulag; dalle macellazioni dei partigiani titini della ex-jugoslavia, passando per l’Albania, la Cambogia, la Romania, Cuba e molti altri, fino al caso Italia, tra togliattismo e spontaneismo armato.

Un viaggio sociologico, storico e letterario, racchiuso in una struttura narrativa diretta e fluente. A qualcuno farà male la memoria, eppure nessuno potrà venirci a dire che si è trattato soltanto di un brutto sogno, poiché «i fatti non cessano di esistere perché vengono ignorati», per dirla con Aldous Huxley. Che ne penserà di tutto questo il più doroteo e “migliore” dei mondi possibili, impegnato in mille cause umanitarie?

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