Francesco Bonazzi per ”La Verità”
Enrico Letta, il Cincinnato del terzo millennio, è finito sull’ autostrada e si è messo al casello. «Mi dimetto dal Parlamento e non dalla politica, non mollo la passione che ho da quando i miei genitori mi portarono a via Fani», scandì con orgoglio alla Camera il 23 luglio del 2015, abbandonando la poltrona da deputato 17 mesi dopo che Matteo Renzi gli aveva sfilato quella ben più succosa da premier.
Un chiaro scherzo del navigatore satellitare ha invece portato Letta junior da via Fani, dove le Br rapirono Aldo Moro, a Barcellona, nel consiglio di amministrazione di Abertis, il gigante catalano delle autostrade che in Italia controlla la ricchissima Brescia-Padova. Il suo incarico è stato ratificato dall’assemblea dei soci dello scorso 3 aprile, ma la cooptazione come consigliere indipendente risale al 29 novembre scorso.
Un politico in piena attività nel cda di un colosso straniero, che a sua volta controlla una concessionaria pubblica nel Paese che ha guidato come presidente del Consiglio. Sarà certamente tutto legale, ma lo stile è un’ altra cosa. Beniamino Andreatta, ex ministro del Tesoro e maestro di Letta junior, si rivolterà nella tomba. E non è l’ unico incarico a pagamento che l’allampanato economista pisano ha raccolto in questi tre anni, come si evince dal bilancio di Abertis, che non pubblica l’ emolumento dei consiglieri, ma in quanto a trasparenza è davvero lodevole.
Certo, se si va a consultare la pagina internet di Letta nipote e quella su Facebook e Linkedin, si trova un solo incarico, quello di preside della scuola di Scienze politiche di Parigi, Science po. Un ruolo prestigioso e meritato, visto l’ ineccepibile curriculum accademico ed economico del nostro ex premier. Un tipo così secchione che anche da ministro dell’ Industria passava l’estate a studiare alla London school of economics.
Un altro grande topo di biblioteca come Giulio Tremonti, pur schierato formalmente sul fronte politico avverso, stravedeva per lui e lo volle come vice all’ Aspen institute Italia. Di lì alla Trilateral commission, lobby atlantica piuttosto opaca, il passo fu purtroppo breve. E Letta junior si fece anche la sua brava fondazione, Vedrò, alla quale si sono avvicinati nel tempo boiardi, banchieri, lobbisti e giornalisti in cerca di gloria all’ombra dell’ Ulivo.
Poi è arrivato Renzi e ha spazzato via tutti. Letta però è un democristiano a 24 carati. Uno di quelli che arretra solo per avanzare, come i suoi mentori Romano Prodi e Giovanni Bazoli. E se acchiappa una poltrona non la sta a sventolare, specie se l’ incarico è remunerato.
E bisogna dire che la sua stagione «lontano da Roma» costerà una certa fatica al commercialista di fiducia. Non solo per i 115.000 euro di emolumento annuo previsto da Abertis per i consiglieri semplici. Nel bilancio del gruppo autostradale si legge che Letta siede anche nel consiglio di Liberty London, fondazione britannica, a titolo gratuito. Mentre i suoi incarichi remunerati sono, oltre che nel colosso autostradale spagnolo, in Amundi, Spencer and Stuart Italia, Eurasia group e European house Ambrosetti.
Amundi è il maggior gruppo di risparmio gestito francese e uno dei colossi del settore a livello mondiale. Letta è entrato il 31 maggio 2016 e a dicembre Amundi ha rilevato Pioneer da Unicredit per 3,5 miliardi. Una campagna d’ Italia davvero fortunata. Spencer and Stuart, dove siede anche Gianni Letta, invece è uno storico consulente del Tesoro e ha aiutato Pier Carlo Padoan anche nell’ ultima tornata di nomine ai vertici delle partecipate di Stato. Eurasia è la più grande società di consulenza statunitense, specializzata in analisi dei rischi politici, fondata dal politologo Ian Bremmer.
Chissà che rischi avrà segnalato, sull’ Italia e su Renzi, il buon Letta. Lo studio Ambrosetti, infine, è una casa di consulenza milanese, diventata famosa per l’ omonimo forum di Cernobbio dove i potenti di tutto il mondo, da oltre vent’ anni, si strusciano a bordo lago a beneficio della stampa e facendo finta di riunirsi a porte chiuse.
Il piatto forte, però, è questa nuova cadrega in Abertis. E qui gli archivi regalano suggestioni uniche. Nel 2006, il gruppo catalano era stato a un passo dal fondersi con Autostrade.
Al governo c’ era Romano Prodi, che pare fosse d’ accordo, e alla presidenza di Autostrade c’ era il prodianissimo Gian Maria Gros Pietro, oggi presidente di Intesa Sanpaolo. Sembrava tutto fatto, compresa la poltrona di garanzia (propria) per Gros Pietro, ma l’ allora responsabile economico della Margherita, facendo asse con il ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, fece saltare l’ operazione denunciando che non era fusione, ma una vendita mascherata agli spagnoli. Bene, quel responsabile economico era Enrico Letta.
Ma a riprova che nella vita ci vuole pazienza e che tutto ha un prezzo, il 29 novembre scorso Abertis piazza il colpo di mettersi in casa proprio colui che un decennio prima la fermò. Una scelta lungimirante, perché già ad aprile il gruppo spagnolo aveva fatto la sua offerta per rilevare la Serenissima, autentica gallina dalle uova d’ oro. L’ 8 settembre 2016 Abertis compra il 51% di A4 Holding per 594 milioni, convincendo Astaldi, Intesa (dove Letta è di casa) e la famiglia Tabacchi. Il 9 febbraio scorso, è invece il turno dei Gavio e della Mantovani, che cedono un altro 9% ai catalani, i quali ora hanno in mano il 60% della holding autostradale.
Nel caso ci mandassero la troika, visto quanto è introdotto nei circoli europei, Letta nipote potrebbe essere la nuova versione di Mario Monti. E se non fosse che il benessere e la sovranità dell’ Italia vengono prima di tutto, sarebbe quasi da augurarsi un suo ritorno a Palazzo Chigi per il solo gusto di vederlo maneggiare le concessioni autostradali e la tassazione del risparmio gestito.