Libia, imam della Cirenaica: divieto di viaggio per donne sole

Gli imam dell’est della Libia si preparano a tenere venerdì prossimo un sermone unificato a sostegno del provvedimento adottato dal capo militare di Derna, Abdel Razzaq al Nadori, poi ritirato a seguito di forti proteste, che prevedeva il divieto di viaggiare per le donne al di sotto dei 60 anni da sole senza la presenza di familiari maschi.

Il ministero degli Affari islamici del governo libico con sede ad al Baida, non riconosciuto dalla comunità internazionale, ha diramato una circolare nella quale chiede di leggere un sermone dal titolo “I laici e i tentativi di corrompere la donna musulmana”. Il sermone condannerà le manifestazioni organizzate dalle Ong e dalle associazioni laiche contro il provvedimento di al Nadori, che è stato modificato con il divieto di espatrio per chi ha meno di 45 anni per ragioni di sicurezza. © Agenzia Nova

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(di Cristiana Missori) (ANSAmed) – ASSUAN, 28 FEB – Dalla caduta di Gheddafi ”la violenza contro le donne in Libia non fa che aumentare. Da Nord a Sud, da Est a Ovest, assassinii, rapimenti, molestie e stupri sono all’ordine del giorno, anche da parte delle milizie islamiche”.

Ad accendere i riflettori su di una delle tragedie fra le tragedie che sta vivendo il Paese nordafricano è Zahra Langhi, attivista per i diritti umani e co-fondatrice della Lybian Women’s Platform for Peace, movimento nato nel 2011 che riunisce oltre un centinaio di donne provenienti da vari settori della società civile. Le donne libiche, fa notare ad ANSAmed a margine dell’Aswan International Women Festival che ha da poco chiuso i battenti, ”hanno dato inizio alla rivoluzione, ma non abbiamo lottato per arrivare a questo”. La Libia di oggi, ripete, è terra di nessuno. ”Non c’è Stato di diritto, non c’è Costituzione e il governo Serraj – riconosciuto internazionalmente – è molto debole e non controlla il territorio. E le donne sono quelle che pagano di più”. Molte attiviste, lei compresa, sono dovute espatriare. Nei loro confronti, spiega, ”c’è un attacco sistematico. Le campagne di diffamazione passano anche attraverso la rete, dove spesso ci chiamano puttane. Dicono che rappresentiamo una minaccia alla sicurezza nazionale”.