Parto fisiologico, in ospedale o a casa, vs cesareo. E ancora, consenso informato della partoriente fino all’introduzione del reato di violenza ostetrica. La politica entra in sala parto. Sono all’esame della commissione Affari sociali della Camera ben 8 proposte di legge che ruotano attorno alla tutela dei diritti della partoriente e del neonato. La scorsa settimana si sono svolte le audizioni di esperti e rappresentanti di associazioni per entrare nel dettaglio delle innovazioni che si intende apportare nel settore.
In particolare, i diversi progetti di legge mirano a disincentivare il ricorso al taglio cesareo il cui numero in Italia, al Sud in particolare, detiene percentuali da record rispetto ad altri Paesi europei. Con il sospetto che, dietro alla sproporzione di parti cesarei, ci siano anche finalità di tipo economico e anche organizzativo. Il parto naturale non è programmabile, quindi richiede disponibilità di assistenza. Questo genera costi elevati. Al contrario, il parto cesareo è programmabile e consente al medico di gestire la sua attività e agli ospedali e alle case di cura di limitare i costi, garantendo introiti maggiori.
C’è anche chi spinge per incentivare i parti in casa. Una volontà che, anche per le valutazioni emerse durante le audizioni come sottolineato ad esempio da Cittadinanzattiva, si scontra con le carenze del sistema sanitario. Come la disponibilità di ambulanze in caso di emergenza. Nelle proposte di legge, inoltre, ci si sofferma sulla necessità di informare maggiormente le partorienti prima, ma anche durante il parto. Un consenso informato che tranquillizzi le donne. Fino ad arrivare alle sanzioni per gli episodi di violenza ostetrica. Sul punto è già attiva da diversi mesi una campagna social, #bastatacere.
In particolare si sofferma sulle violenze ostetriche la proposta di legge presentata da Adriano Zaccagnini, ex-M5S ora nel Misto, che prevede l’inroduzione di un reato ad hoc con “la reclusione da due a quattro anni”. Si legge nella pdl: “Costituiscono atti di violenza ostetrica le azioni o le omissioni realizzate dal medico, dall’ostetrica o dal personale paramedico volte a espropriare la donna della sua autonomia e della sua dignità durante il parto”.
Quindi si specifica: “In particolare sono atti di violenza ostetrica: a) negare un’assistenza appropriata in caso di emergenze ostetriche; b) obbligare la donna a partorire in posizione supina con le gambe sollevate; c) ostacolare o impedire il contatto precoce del neonato con la madre senza giustificazione medica; d) ostacolare o impedire il processo fisiologico del parto mediante l’uso di tecniche di accelerazione del parto senza il consenso espresso, libero, informato e consapevole della donna; e) praticare il taglio cesareo in assenza di indicazioni mediche e senza il consenso espresso, libero, informato e consapevole della donna; f) esporre il corpo della donna violando la sua dignità personale”.
Le altre proposte sui diritti della partoriente e del neonato in discussione in Affari sociali sono state presentate da Paola Binetti (Udc), Vega Colonnese (M5S), Marisa Nicchi (Sinistra Italiana), Benedetto Fucci (Misto), Daniela Sbrollini (Pd), Vittoria D’Incecco (Pd) e Elena Carnevali (Pd).
Sul punto del sovradimensionato ricorso al cesareo vengono portati alcuni dati. Si legge ad esempio nella proposta di legge della dem Elena Carnevali: “In Italia la prevalenza del taglio cesareo è passata da circa il 10 per cento all’inizio degli anni ottanta al 37,5 per cento nel 2004, percentuale che si è mantenuta fino al 2015; attualmente la percentuale di TC registrata in Italia è la più alta d’Europa, dove la maggior parte delle nazioni registra valori inferiori al 25 per cento”.
“Si rileva inoltre – si sottolinea – una spiccata variabilità su base interregionale, con valori tendenzialmente più bassi al nord e più alti al sud”. Dati confermati anche nel testo presentato dalla grillina Vega Colonnese: “L’Italia ha il triste primato di essere il Paese europeo con maggiori parti cesarei” con cifre che superano di gran lunga “il limite massimo della percentuale dei cesarei rispetto alla totalità dei parti” fissato al 20 per cento dall’Oms. “In Italia la percentuale di parti cesarei è del 36,3” e la quota più elevata di parti cesarei si registra in Campania (56,6 per cento), seguita da Sicilia (42,5 per cento), Puglia (41,7 per cento) e Lazio (39 per cento).
L’esponente 5 Stelle vede dietro questi dati intenti poco leciti: “Si ipotizza il reato di truffa nei confronti dello Stato quando una struttura ospedaliera o convenzionata pratica un parto cesareo non necessario, guadagnando circa 2.457 euro invece dei 1.139 euro previsti per un parto naturale. Pertanto crediamo che sarebbe opportuno monitorare la frequenza dei parti effettuati con taglio cesareo e ridurre le forti differenze regionali esistenti”. adnkronos
Gli abusi, sono generali anche nel settore della chirurgia. Spesso si sottopone la gente ad intervento chirurgico, anche se non ce n’è alcun bisogno.