di Alex Boller
L’abitudine è certamente cosa deleteria. L’abitudine può far rima con rassegnazione, termine quanto mai in voga in questo periodo di sconvolgimenti. Ma l’abitudine è anche e soprattutto sconfitta.
L’abitudine ci porta, insomma, ad accettare tutto o quasi.
Le notizie che soltanto qualche anno fa ci avrebbero atterriti, ora sollevano un po’ di sdegno, sdegno che si affievolisce a velocità allarmante. E che dire del funesto mondo del lavoro, diabolicamente concepito nel sopore generale?
Accettato.
Viviamo oramai in una sorta di narcotica e letale indifferenza. Siamo l’evoluzione elegante degli zombie. Per quanto mi riguarda non so se ritenermi fortunato o meno, ma ho deciso di non abbandonare la capacità di indignarmi, di provare quella sana rabbia che mi fa sentire vivo.
Mi rendo conto che il mio risentimento in realtà non è una cura ai mali che ci affliggono, tuttavia mi sento parte di quella fetta di società che non accetta prona il caos che ci è stato calato dall’alto.
Si potrebbe pensare che, in termini di pace interiore, concedersi al menefreghismo paghi di più, ma non è così. «… tanto non cambia nulla…» si sente sostenere spesso.
Invece sta cambiando, eccome, anzi è già successo.
E tutto ciò grazie alla cecità che affligge troppi di noi. Ci hanno ridotti ad una confusione di numeri vorticosi e intercambiabili tra loro. La società di plastica, fondata sull’interesse di pochi e sulla pelle di tutti gli altri, è presente e naviga con il vento in poppa.
Chi incolpare di tutto ciò? Noi. Nessun altro.
Mi domando fino a quando farà effetto il narcotico che abbiamo deciso di assumere autonomamente. Temo che se non decideremo in fretta di respirare una boccata d’aria fresca, il risveglio sarà più che traumatico.
Bell’articolo,ma si chiama”assuefazione”;ci si assuefa a tutto,anche all’orrore.