Un permesso di soggiorno italiano falso, esibito a un controllo nel Nord Westfalia. Contatti diretti e indiretti con un gruppo di persone sotto indagine per traffico internazionale di stupefacenti. Soldi mandati a casa per convincere il nipote ad arruolarsi nell’esercito della Jihad. Anis Amri non era un fantasma per l’Italia. La sua storia non si era esaurita nelle carceri di Catania e Palermo. Ma più passano le ore e più gli investigatori si convincono che il terrorista tunisino continuasse a essere legato con un filo all’Italia. Quello stesso filo che in queste ore si sta cercando di riannodare.
Un primo punto di partenza è il permesso di soggiorno che Amri esibisce a un normale controllo di polizia nel Nord Westfalia qualche settimana prima di piombare con un tir sul mercatino di Natale di Berlino. È un documento rilasciato da una questura siciliana e gli riconosce lo status di rifugiato. È un falso, hanno accertato ora gli investigatori tedeschi. Sul documento c’era una foto vera e uno degli alias che Amri utilizzava per nascondere le sue vite: nell’ultimo anno e mezzo il terrorista si è trasformato in Amri Zaghloul, egiziano classe 1995, Ahmad Zarzour, libanese, Ahmed Almasri egiziano di Iskandaria o di Alessandria a seconda del documento fasullo; Mohammed Hassa, egiziano di Cafrick. Una strategia che gli ha permesso di eludere sistematicamente i controlli tedeschi, che lo conoscevano e che a novembre avevano ricevuto anche un nuovo alert dai servizi egiziani. Il punto però è un altro: chi formava i documenti falsi ad Amri? Chi gli aveva dato quel permesso falso di soggiorno siciliano?
Una copia del documento falso annotato in Germania dovrebbe essere in Italia nelle prossime ore. A disposizione così dell’Antiterrorismo che ha in piedi, in questo momento, almeno tre indagini sul business dei documenti falsi: una è in Sicilia. Una seconda in Puglia, attorno al Cara e al porto di Bari. E infine a Roma, base di partenza e di arrivo. È qui che si cercherà chi ha fornito i documenti falsi ad Amri. Partendo da un dato non irrilevante.
Il nome del tunisino, prima e dopo la strage, torna in un’indagine molto delicata, condotta da una procura del centro Italia, su una rete di trafficanti internazionali di stupefacenti. Alcuni di essi hanno avuto contatti, diretti e indiretti, con il terrorista tunisino ai tempi della carcerazione. Ma evidentemente il filo non si è spezzato. Qualcuno in Italia sapeva di Berlino? Chi ha offerto al ragazzo supporto logistico ed economico? Che collegamento c’è tra la droga e il terrore?
Gli investigatori italiani hanno chiesto in queste ore informazioni ai colleghi tunisini sull’arresto di tre persone legate ad Anri. Uno, in particolare: il nipote. Il ragazzo farebbe parto di una cellula terroristica e — così come raccontano alcune agenzie di stampa arabe — avrebbe comunicato via Telegram con lo zio prima della strage.
Amri gli avrebbe inviato anche denaro attraverso money transfer e fornito un’identità falsa affinché lo raggiungesse in Germania. Di tutto questo non è però stata informata la polizia italiana. Che, dalla mattina del 23 dicembre, notte e giorno, è al lavoro, con gli agenti della Digos di Milano, per ricostruire la fuga di Amri.
Ieri dalla Francia è arrivata una conferma: il ragazzo è passato da Lione prima di arrivare in Italia. Le telecamere francesi lo hanno inquadrato giovedì scorso, nella stazione Part-Dieu di Lione. Lì ha comprato in contanti un biglietto con destinazione Milano, via Chambery. Il tunisino è sceso dal Tgv a Torino dove è rimasto per tre ore per poi proseguire verso la stazione Centrale di Milano.
Qui è stato ripreso da una telecamera alla stazione Centrale, poco prima dell’una. Poi stazione ferroviaria e metropolitana di Sesto San Giovanni, alle 2.58. Sbarca da un treno in arrivo da Torino e prende un mega bus, piuttosto vecchiotto, che percorre in superficie le fermate della linea rossa della metropolitana, ferma durante la notte. Tra le due stazioni, quale percorso ha fatto?
Sinora, nessun riscontro attendibile sposta la prima ipotesi di lavoro, e cioè che il terrorista sia andato a piedi sino in piazza Lima. Resta poi un’altra domanda: perché Sesto? Qualcuno, a favore delle telecamere, ha raccontato di averlo visto, ma ogni volta che la polizia ha controllato, la segnalazione s’è rivelata fasulla. Sino a questo momento, non esistono attendibili riscontri delle presenza di Amri a Milano, nelle sue periferie, nei paesi dell’ex cintura industriale. Amri c’era. Ma sembra non esserci mai stato.
Giuliano Foschini e Massimo Pisa per la Repubblica