Dopo la sua nomina a ministro dell’Interno, nel 1994, Roberto Maroni, acquisì “una serie di fascicoli del Sisde che riguardavano un’attività di dossieraggio nei confronti di alcuni personaggi politici, persino sul mio predecessore all’Interno Nicola Mancino. Ho chiuso tutto il materiale nel mio ufficio, in una cassaforte, per impedire che qualcuno lo leggesse o lo facesse sparire. Lo consegnai subito al Senato e rimossi il direttore del Sisde di allora, Domenico Salazar, per questa grave cosa che non doveva essere fatta”.
A raccontarlo in aula è il Governatore della Lombardia Roberto Maroni, deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia davanti alla Corte d’assise di Palermo. Al posto di Salazar venne nominato al Sisde da Maroni “una persona sconosciuta a tutti, un generale dei carabinieri, Gaetano Marino”. Ma aggiunge: “Non fu facile nominarlo, ebbi una lunga lista di possibili successori mandatami da Palazzo Chigi, ma pensai che dovevo cambiare, rinnovare. Chiesi ai miei esperti di indicarmi alcune persone e mi indicarono questo generale che si occupava di tutt’altro, di formazione dei carabinieri e mi piacque molto. Nell’elenco dei nomi che mi furono segnalati da Palazzo Chigi per il ruolo di direttore del Sisde vidi che c’era anche quello di Mori”.
Durante la sua deposizione, Maroni, che risponde alle domande di pm Nino Di Matteo e Francesco Del Bene, ha ricordato anche un aneddoto riguardante il suo insediamento al Viminale nel 1994: “Nicola Mancino non mi fece il passaggio di consegne – racconta – Il mio insediamenti avvenne in una sala alla presenza delle forze dell’ordine, il capo di gabinetto, i dirigenti del Ministero con parole di commiato del ministro uscente. Non c’era una campanella che ci si scambia come alla Presidenza del Consiglio. Mi colpì molto che Mancino si rifiutò di farlo dimettendosi prima del passaggio , tanto è vero che il passaggio di consegne lo fece Ciampi che assunse l’interim”. “Ho sempre pensato che fossero ragioni di carattere politico – ricorda Maroni – Io ero quello che rompeva la tradizione, che dal dopoguerra vedeva come ministro dell’Interno un rappresentante della Democrazia cristiana e pensavo che lui non volesse essere il ministro che desse il passaggio di consegne a uno della Lega. Non ho avuto modo di parlare poi con lui di questi temi perché non go avuto modo di parlarci. Ma penso che fosse per questo”.
Poi, Maroni torna a parlare dell’intervista rilasciata al Tg3 il 16 luglio del 1994, in cui lamentava l’approvazione del decreto legge sulla sicurezza. “Io avevo richiesto di fare delle interviste, decisi di farla al Tg3 perché era il primo Tg alle 19 rispetto al Tg1 che erano dopo. Io accettando la richiesta del Tg3 volevo dare questa comunicazione – racconta – Il contenuto del decreto arrivato al Consiglio dei ministri non era quello nel testo originario”. “Ricordo un colloquio con l’allora Procuratore di Palermo, Caselli, che mi disse che questo decreto rendeva più difficile la lotta alla mafia. Mi disse che c’era una norma che rendeva più difficili le indagini. C’era l’obbligo di riferire all’indagato di essere indagato. Mi colpì molto perché mi disse che indagini complicate diventeranno impossibili. Questa cosa mi colpì e la citai in consiglio dei ministri”, spiega Maroni. Da qui la decisione di fare ritirare “il decreto – racconta – e chiesi alla Lega di non votare la fiducia. Poi il 23 luglio il parlamento negò i requisiti dell’urgenza e il decreto decadde”.
Durante la sua deposizione, Maroni ha parlato del Governo Berlusconi del 1994: “Nell’ambito della compagine governativa era notoria l’influenza che il senatore Previti aveva sulle iniziative in tema di giustizia”, ha spiegato il leghista. “Che Cesare Previti fosse il responsabile della giustizia nel partito, pur non essendo ministro, non ci scandalizzava. Sono normali queste cose”, ha aggiunto. Dopo l’esame dei pm tocca adesso al controesame della difesa. adnkronos