La riforma del Titolo V: un passo indietro
Imola – Ci hanno lungamente spiegato, alla fine degli anni ‘90, quanto fosse necessario rafforzare il federalismo regionale; la parola d’ordine – soprattutto qui in Emilia-Romagna – di amministratori locali, sindaci e presidenti di Regione era pressoché unanime; chiedere una ripartizione legislativa tra Stato e Regioni che lasciasse a queste ultime funzioni amministrative su materie che sino ad allora erano di esclusiva competenza statale o concorrente.
Ci spiegarono anche quanto ci avrebbe fatto bene il federalismo cooperativo – sull’esempio della Germania – che avrebbe instaurato una collaborazione tra Stato e Regioni per un miglior governo del Paese.
Sempre gli stessi ci spiegarono ancora quanto fosse importante la sussidiarietà verticale, attraverso la quale le funzioni amministrative vengono attribuite agli Enti più prossimi ai cittadini; da ciò ne sarebbe dovuto conseguire una maggiore partecipazione (e vigilanza) delle comunità e una maggiore incisività dei territori nei processi decisionali e normativi che li interessavano.
Si arrivò così, nel 2001, alla riforma del Titolo V.
Finalmente, dobbiamo aggiungere, perché essa altro non era che la doverosa applicazione dell’ Art. 5 della Costituzione che impone di adeguare “i principi ed i metodi della legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”. La strada era quella giusta ma ora sempre dagli stessi è arrivato il contrordine, meno federalismo e più centralismo, va rivisto nuovamente il Titolo V!
La proposta di revisione del Titolo V prevede un modello di gestione delle risorse deciso dai ministeri – neanche dal Parlamento – senza possibilità di correttivi.
Le competenze esclusive che tornerebbero allo Stato (e di riflesso alla UE, ndr) riguardano: energia, infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e navigazione, beni culturali e paesaggistici, ambiente ed ecosistema, attività culturali e turismo, governo del territorio, protezione civile, porti ed aeroporti civili.
La riformulazione dell’ art. 117 poi introduce la cosiddetta “clausola di supremazia” statale, un ulteriore elemento allarmante perché concede al governo lo spazio per molte forzature: in nome dell’interesse nazionale (leit–motiv dell’ultimo decennio) sarà possibile imporre politiche e progetti invisi alle comunità chiamate a pagarne i costi economici, ambientali, sociali e sanitari.
Se è ragionevole prevedere che sia il governo centrale a stabilire regole generali nelle materie più importanti per il paese, il nuovo ordine tuttavia costituirebbe un ulteriore arretramento delle legittime richieste dei cittadini potenzialmente o concretamente interessati alle opere. Non prevedere strumenti di concertazione locale non farà che aggravare la distanza tra cittadini ed istituzioni.
Da anni assistiamo ad un aumento dei conflitti sociali contro l’imposizione di politiche impattanti, vogliamo qui ricordarne una che riguarda direttamente il nostro territorio e che concerne il progetto di ampliamento della discarica Tre Monti (attualmente bloccato dalla Sovrintendenza ai Beni paesaggistici). Questo aumento della conflittualità, determinato da una maggiore consapevolezza dei cittadini, suggerirebbe di rivedere i meccanismi di funzionamento della democrazia proprio in direzione opposta da quelli previsti dalla riforma, ovvero rafforzando il concetto di sovranità dei territori.
I promotori della riforma costituzionale sostengono che occorre votare sì al referendum per rendere più moderno, veloce ed efficiente il “sistema paese”. La riforma, escluse le regioni a Statuto speciale che mantengono una forte autonomia, in realtà fa piazza pulita di ogni idea federalista, imprimendo una svolta centralista al sistema delle relazioni tra lo Stato e gli enti territoriali. …e questa la chiamano modernità?
Cittadinanza Attiva Imola