Lo si sente dire da tempo, “c’è la criminalità organizzata dietro al business del cocco sulle spiagge italiane”. Non è certo una leggenda metropolitana, negli anni ci sono stati arresti e indagini che lo confermano.
È un vero e proprio racket, quello del cocco. Come scrive il Messaggero, è facile da gestire, con pochi rischi rispetto ad altri settori e super conveniente. Basti pensare che chi lo gestisce, alla fine dell’estate, si porta a casa dagli 800 mila al milione di euro (tutto esentasse).
Da Napoli i venditori partono, e le “paranze” vengono organizzate già in primavera: biglietto di viaggio pagato, alloggio compreso, e la garanzia del 40 per cento del ricavo giornaliero.
La zona più ambita è da sempre la Sardegna, che viene divisa in quattro “quadranti”: quello più redditizio è il lato di Olbia.
Ogni mattina alle 8 gli ambulanti sono già in spiaggia e agiscono sotto ordini precisi: nessuna risposta a domande indiscrete, lavorare duramente, segnalare eventuali “concorrenti”, e alla sera a letto presto per ricominciare il giorno dopo. Confuse tra i bagnanti ci sono anche le donne dei clan, che hanno il compito di sorvegliare i venditori, affinché non sgarrino.
Il viaggio è naturalmente a carico dell’organizzazione: ma se poi qualcuno dei «dipendenti» sgarra o non rende deve tornarsene a casa pagandosi anche il biglietto della nave.
Ma quanto si guadagna vendendo il cocco targato Napoli? Tanto. «Fino all’anno scorso la porzione costava tre euro. Quest’anno il prezzo è salito a cinque. Su ogni carico venduto ogni giorno io devo portare al capo 200 euro al giorno, ma faccio sempre almeno due tre carichi. In un mese ognuno di noi riesce a fare anche 2500 euro, che equivale al 40 per cento del netto: il resto se lo mette in tasca o mast»