“Non c’è un rischio di deriva autoritaria” dal combinato tra riforma costituzionale e della legge elettorale. Così ha avuto il coraggio di parlare il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi al Festival Economia di Trento sottolineando che le due riforme daranno “maggiore stabilità” al Paese, necessaria “per implementare le riforme” grazie al superamento del bicameralismo perfetto e al premio di maggioranza alla lista anziché alla coalizione che impedirà di avere “governi balneari, governi tecnici o che durano un anno, un anno e mezzo”.
Il voto per il referendum “è un voto per il futuro del Paese, per votare su di noi ci sarà il 2018“, ha aggiunto. Il ministro si augura una alta affluenza alle urne ad ottobre perché si tratta “di una occasione preziosa per riconquistare un ruolo di cittadinanza attiva, nelle istituzioni, nella politica in senso bello, di una comunità che prende la responsabilità del proprio futuro”.
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L’ASSETTO ISTITUZIONALE DEL VENTENNIO FASCISTA AVEVA MAGGIORI CONTRAPPESI DEL COMBINATO DISPOSTO RIFORMA COSTITUZIONALE-ITALICUM (di Giuseppe PALMA)
Potrebbe apparire assurdo, ma sembra davvero di essere tornati indietro di novant’anni: il regime fascista, adottando prima la “Legge Acerbo” e successivamente le “leggi fascistissime”, introdusse la variante del premierato alla forma di governo parlamentare pur mantenendo formalmente (e minimamente) la cornice istituzionale disegnata dallo Statuto Albertino, quindi con la figura del Capo dello Stato impersonata dal Re che – essendo espressione dinastica di Casa Savoia e quindi non espressione del PNF – fungeva quantomeno da “accettabile” contrappeso istituzionale, tant’è che fu proprio il sovrano, nel pomeriggio del 25 luglio 1943, a destituire Mussolini e a porre fine al fascismo.
A tal proposito occorre ricordare che il voto espresso dal Gran Consiglio del fascismo sull’ordine del giorno Grandi nella seduta del 24-25 luglio 1943 non era giuridicamente vincolante né per il Re né per Benito Mussolini (infatti il Gran Consiglio era un organo con funzioni meramente consultive), quindi la decisione della corona di destituire e far arrestare Mussolini rappresenta – al di là delle più vaste valutazioni che la materia richiede – un aspetto che merita qualche riflessione anche di carattere costituzionale riguardo alla funzione di contrappeso istituzionale che il Capo dello Stato esercita e rappresenta nei confronti del potere esecutivo (nei limiti, ovviamente, cui l’esempio si presta). Oggi, invece, con questa riforma costituzionale che pone fine al bicameralismo paritario e introduce il “monocameralismo imperfetto” (accompagnato da una legge elettorale a forte vocazione maggioritaria com’era esattamente la “Legge Acerbo”), la figura del Capo dello Stato sarà espressione diretta dei partiti, quindi, a partire dalla settima votazione in avanti, probabile proiezione della volontà di quella sola lista assegnataria del premio di maggioranza (come dettagliatamente dimostrato con il mio libro “FIGLI DESTITUENTI….”).
E se l’Italicum, nei suoi meccanismi, tanto somiglia alla “Legge Acerbo”, l’aver assegnato ai partiti l’elezione del Presidente della Repubblica (nella cornice istituzionale tendenzialmente monocamerale e con una legge elettorale maggioritaria che assegna il premio di maggioranza alla lista esattamente come la “Legge Acerbo”) rappresenta in teoria un sensibile peggioramento rispetto all’equilibro che sussisteva nel ventennio tra monarchia sabauda e Governo fascista.
Ciò premesso, il combinato disposto riforma costituzionale-Italicum crea una pericolosa assenza di PESI e CONTRAPPESI!
Giuseppe PALMA