«Sono stato sottoposto a talmente tante pressioni che la situazione si è fatta insopportabile»
Ma neanche un mese dopo lo scandinavo è dovuto tornare sui suoi passi dando le dimissioni dal Gwpf, a causa delle troppe pressioni ricevute dagli ex colleghi: «Non sarei in grado di portare avanti il mio normale lavoro e sarei troppo preoccupato per la mia salute e sicurezza», spiega il climatologo ottantenne nella sua lettera di dimissioni.
«NON ME LO SAREI ASPETTATO». È una sorta di fatwa quella che gli è stata lanciata, fatta di intimidazioni professionali, colleghi che hanno ritirato il loro appoggio a progetti condivisi e studi. Lo racconta lo stesso Bengtsson, stimato fino a poche settimane fa dalla comunità scientifica di tutto il mondo per i suoi lavori pionieristici sui modelli di sviluppo per prevedere le variazioni del clima.
Ora, invece, «non vedo altra soluzione se non dimettermi» per uscire da una situazione «che mi ricorda i tempi di McCarthy: non mi sarei mai aspettato nulla di simile da una comunità tanto pacifica in origine come la meteorologia». A Londra non l’hanno presa bene: David Henderson, presidente del Gwpf, ha protestato contro «lo scioccante grado di intolleranza e il rifiuto del principio della libera ricerca scientifica».
MODELLI SCIENTIFICI E REALTÀ. Il passaggio di Bengtsson dalla parte degli “scettici” sul global warming era stato dettato da ragioni ben chiare: lui stesso, in un’intervista allo Spiegel, diceva di aver costruito la sua carriera da ricercatore su previsioni e modelli, e di essersi accorto col tempo quanto fosse diventata importante «la verifica dei risultati dei modelli, così da assicurarne la credibilità. È frustrante che gli scienziati del clima non siano capaci di validare in modo corretto le loro simulazioni. Il riscaldamento della terra è stato ben più debole dalla fine del 20esimo secolo di quanto mostrano i modelli climatici».
Sul global warming ci sono dati ancora poco chiari, per questo non serve costruire politiche nazionali basandosi su previsioni climatiche a lungo termine: «Non ha senso pensare che la nostra generazione possa risolvere i problemi del futuro, per la semplice ragione che non sappiamo quali sono i problemi del futuro. Facciamo un esperimento e andiamo indietro a maggio del 1914: proviamo, dalla prospettiva di quel momento, a elaborare un piano d’azione per i prossimi 100 anni: sarebbe assurdo».
«SOTTOPOSTO A TROPPE PRESSIONI». Quando Bengtsson decise di lavorare con il think tank londinese, il direttore Benny Peiser commentò: «La cosa più significativa è che la sua specialità sono i modelli climatologici. E i modelli al computer, come sappiamo, sono il cuore delle teorie sul global warming. [Bengtsson] è la figura più importante ad ammettere, come molti altri stanno iniziando a fare, che c’è una discrepanza crescente tra ciò che i modelli hanno predetto e ciò che i dati reali sul mondo ci dicono realmente».
Poi però è arrivato l’isolamento scientifico, l’abbandono di tanti colleghi e la marcia indietro obbligata dello stesso Bengtsson: «Sono stato sottoposto a talmente tante pressioni in questi giorni da tutto il mondo che la situazione si è fatta insopportabile».