C’è chi, proprio ora, chiede di non farsi sopraffare dall’emozione, dietro ad uno schermo, afferma che i confini da chiudere non c’entrino nulla, che la tolleranza e l’apertura salveranno questo mondo matto. Non ci sarà mai nessuna lezione così dura da cui imparare per costoro? Siete mica impazziti?
Questa volta della dichiarazione, del tampone di turno e della geopolitica non deve interessare nulla. La lettura tecnica, la reazione oltre oceano, la citazione, l’eccitazione, servono davvero a poco.
La triste storia del grande continente libero che spalanca le gambe, rinnega e si piega su stesso, ingobbito, genuflesso, sporco, traumatizzato. Libero e sotto attacco. Allora che prezzo ha la libertà?
Siamo ostaggi, cerchiamo di capirlo. Ostaggi del moderatismo spinto, della morte certa di un’identità, della idolatria dell’estetica, inscatolati nella modernità, figli illegittimi della vigliaccheria e del dichiarazionismo, rischiamo di morire per una guerra che neanche stiamo combattendo. Il tripudio dell’assurdità, mentre ci si scanna per i diritti, mentre la capitale d’Europa esplode come nulla fosse, mentre la sua gente reprime e vomita altrove un dolore inconsolabile, una rabbia inesprimibile.
Vorrei ma non posso, reagirei ma non viene permesso. .
Hanno fatto inginocchiare, anche oggi, quello che per tutti rappresenta il centro dell’istituzione, per quanto malefica, tollerante, insulsa, totalitaria e smemorata. Colpiscono al cuore con naturale dinamismo e questo terrorizza. Nella dimenticanza delle proprie essenze nazionali – frettolosamente liquidate come anacronistiche ed inutili testimonianze di un’epoca che non ci appartiene più -, l’Europa ha dimenticato se stessa, troppo impaurita per reagire nel rischio di scomodare gli interessi economici o i delicati equilibri geopolitici. Che si fottano! Un tracollo verticale, un suicidio culturale. E allora il profondo oblio, due guerre e secoli di civiltà, il sangue versato ed un pessimo rapporto col tempo. Gli errori commessi, le lezioni mai imparate, un’adolescenza politica e spirituale da cui non si riesce ad uscire.
Pare inutile il teatrino delle teste di cuoio, ora, ora che è sempre troppo tardi. È inutile alzare, adesso, il livello di emergenza al 4, il massimo possibile, come sta accadendo a Bruxelles; è inutile piangere sul latte versato, volutamente gettato a terra in un continuo tumulto onanista. È vano ripensare al passato, quando il tappo è stato tolto e si è scatenato l’inferno e l’inverno del Vecchio Continente, nella volontà coatta di spalleggiare ad ogni costo gli esportatori di democrazia, di far piovere bombe, imporre sanzioni, piazzare taglie sulle teste, da Gheddafi alla Libia, passando per l’Iraq. E siamo sempre alle solite.
L’asimmetria di una guerra vigliacca, una generazione al cloroformio, la decadenza di una civiltà millenaria, vecchia di cinquemila anni, particolare che sembra ricordare solo Marion Le Pen, a questo punto e qualche altro omino assennato capace di non perdere la lucidità in questo caos, prontamente etichettato come estremista, fascista o chissà cosa.
Sembra sempre troppo vicina la fine. L’imprevedibilità è il nemico del futuro, non la paura, troppe volte salvifica arma di difesa, reazione naturale. L’imprevedibilità è il seme dell’angoscia, come ricorda Umberto Galimberti, ed è lì che il nostro avvenire va accasciandosi terrorizzato.
Anche la dorata Bruxelles ora ha paura e si cominciano a perdere le parole. Non si può pensare di morire per gli effetti di una guerra neanche combattuta. E assurda, sregolata, pazza disegna i confini e detta i tempi. Sempre più dobbiamo fare attenzione a non rendere abitudine la morte del terrore, stratificata in noi, episodio dopo episodio. Quando la daremo per normale consuetudine dei nostri giorni, la fine sarà certa.
Paghino quegli europei che hanno sbagliato a sottovalutare la minaccia che cresceva nel grembo di questa terra. Perchè non si possa continuare a vedere la gente fuggire, con gli occhi vitrei, immagine ricorrente di una civiltà che si sta liquefacendo sotto la blanda fiamma della modernità.
Europa, marcia per non marcire, matura per non morire nell’angoscia oppure crepa, di corsa, per rinascere.
“Non sempre ciò che vien dopo è progresso”, diceva Alessandro Manzoni…
dal blog di Emanuele Ricucci – il Giornale