Verso una nuova micidiale crisi del debito

Negli Stati Uniti esplode la crisi delle obbligazioni spazzatura ed in Italia quella di un sistema bancario gravato da 200 miliardi di euro di sofferenze. Altri istituti falliranno. Prepariamoci ad una grande tosatura dei risparmi per salvare un settore finanziario che non è mai stato riformato e che continua ad essere la palla al piede delle nostre economie.

EURO-CRISI-DEBITO

Stiamo molto probabilmente assistendo alle prime battute di una nuova micidiale crisi del credito. Infatti negli Stati Uniti il fondo di investimento di Third Avenue, denominato Focused Credit Fund, che gestiva 788 milioni di dollari, ha annunciato il proprio scioglimento dopo essere stato travolto da un’ondata di perdite e dall’esplosione delle richieste di riscatto degli investitori. Questo caso non è isolato: venerdì scorso l’hedge fund Stone Lion Capital Partners, che gestisce 400 milioni di dollari, ha bloccato i riscatti.

Non si tratta di casi eccezionali, ma della punta di un iceberg del crollo di una montagna di crediti erogati negli ultimi anni a società del settore petrolifero ed energetico e a società di dubbia credibilità. Infatti in questo lungo periodo di denaro facile e a costo bassissimo si è espanso il settore dei cosiddetti Junk bonds (ossia, obbligazioni spazzatura) e dei fondi di investimento che raccoglievano capitali dai risparmiatori alla disperata ricerca di tassi di interesse interessanti. Ora questo settore, cresciuto contemporaneamente alla bolla dello shale oil e shale gas americano sta esplodendo. Il motivo è semplice: il crollo del prezzo del petrolio e delle altre materie prime sta mettendo alla corda un numero crescente di società che sopravvivevano grazie alla possibilità di continuare a rifinanziarsi sui mercati. Le cifre in gioco sono notevoli: si stima che i crediti in sofferenza nel solo settore petrolifero americano superino i 200 miliardi di dollari.

Questo “disastro” sta anche toccando il settore bancario: Wells Fargo, la maggiore banca statunitense per capitalizzazione, ha annunciato perdite per i prestiti concessi al settore petrolifero. Le autorità di sorveglianza americane hanno pure annunciato che i crediti bancari del settore energetico in sofferenza hanno superato i 34 miliardi di dollari e che sono quindi quintuplicati rispetto ad un anno fa.

Ma c’è di più: sull’orlo del precipizio vi sono anche colossi dell’industria mineraria che sono contemporaneamente i maggiori trader (ossia speculatori) sul mercato delle materie prime. Anglo-American ha annunciato una ristrutturazione che prevede il taglio di 85mila dipendenti; la Glencore, che ha sede a Zugo e che è il principale trader a livello mondiale, sta disperatamente cercando di ridurre un indebitamento che supera i 20 miliardi.

Di fronte a questi dati di fatto si potrebbe essere indotti a ritenere che si tratta di una crisi settoriale e passeggera che ben presto verrà superata. Non è così. La realtà di oggi è esattamente simile a quella che prese avvio all’inizio del 2007 con il fallimento di due hedge fund che facevano capo alla banca di investimento Bear & Stearrns e che continuò fino all’autunno del 2008 con il fallimento della Lehman Brothers. Le analogie sono evidenti: allora era la crisi del mercato immobiliare americano, oggi la crisi del settore energetico e minerario. Quindi allora nelle obbligazioni che contenevano i mutui ipotecari, oggi nei titoli con cui sono stati finanziate le società petrolifere stanno emergendo perdite reali. Queste perdite non si limitano ai settori in crisi, ma contagiano anche i titoli di società di altri settori. Infatti comincia a manifestarsi un effetto a catena su tutto il mercato dei titoli obbligazionari a maggiore rischio con forte rialzo dei rendimenti che provoca il risultato di creare le premesse per una serie di fallimenti. Ad esempio, già oggi negli Stati Uniti, sono entrati in fibrillazione i titoli con cui si rifinanziano i colossi della grande distribuzione, particolarmente colpito è la catena Macy’s che naviga da tempo in cattive acque e che ora rischia di trovarsi con l’acqua alla gola.

Come nel 2007 queste difficoltà iniziali non sono destinate a tradursi immediatamente in una crisi di gravi proporzioni. Infatti il settore finanziario cercherà di intervenire per tamponare le falle che si aprono e sarà aiutato in questa opera dalle banche centrali. Ma questo soccorso non basterà, poiché le perdite sono reali e qualcuno deve assumersene il costo. Dunque, siamo alle battute iniziali di una nuova drammatica crisi del credito e che potrebbe addirittura diventare esplosiva se a queste difficoltà Made in USA si aggiungeranno le difficoltà di alcune società dei Paesi emergenti che negli ultimi si sono pesantemente indebitate sui mercati occidentali.

Gli assaggi dell’evoluzione di una crisi del debito li si sono provati in Italia. Infatti il salvataggio di quattro banche di piccola dimensione è avvenuto nel rispetto nelle nuove regole europee del “bail in”, per cui i detentori di obbligazioni subordinate vengono chiamati a pagare le perdite di queste banche. L’ira dei risparmiatori gabbati è assolutamente condivisibile, ma nessuno parla delle conseguenze per un sistema bancario italiano gravato da 200 miliardi euro di sofferenze (si tratta di dati ufficiali e non di stime). In pratica si tratta di un sistema in cui parecchi istituti sono già falliti e che ora si ritroveranno a pagare tassi superiori per rifinanziarsi. Insomma, siamo di fronte ad una crisi sistemica del settore finanziario italiano, che potrà essere salvato solo dai finanziamenti della Banca centrale europea. Aspettiamoci dunque altre grandi irrogazioni di liquidità da parte di Mario draghi, che negli scorsi giorni è appositamente sceso a Bologna per garantire che la Bce farà tutto il necessario per contenere la crisi.

La realtà è comunque un’altra: quando si accumulano e si moltiplicano le perdite qualcuno deve pagare e le regole europee, che valgono anche in Svizzera, dicono che il conto verrà saldato da coloro che hanno sottoscritto le obbligazione delle banche e persino dai correntisti (garantiti sono solo i depositi fino a 100mila franchi). Prepariamoci ad una grande tosatura dei risparmi per salvare un settore finanziario che non è mai stato riformato e che continua ad essere la palla al piede delle nostre economie.

Alfonso Tuor | 16 dic 2015  TICINONEWS