La morte dell’Europa, dell’Unione europea, e’ in vista, scrive l’editorialista Breth Stephens sul “Wall Street Journal”. Si tratta di una prospettiva “visibile e in rapido avvicinamento, alla stregua di un pianeta inquadrato dall’obiettivo di un satellite che vi si avvicina”.
L’Europa e il suo progetto unitario “stanno giungendo alla fine non tanto per la sua economia sclerotica, per la stagnazione demografica, o per le disfunzioni del suo superstato”. Nè la causa è costituita “dal massiccio influsso di immigrati africani o mediorientali” che semmai hanno esposto le dimensioni del problema: “i disperati diretti in Europa non rappresentano che una flebile brezza contro il guscio secco di una civiltà ormai disseccata”.
A rappresentare appieno la crisi dell’Europa della Ue di natura soprattutto culturale e identitaria, è secondo Stephens, la recente visita della cancelliera tedesca Angela Merkel in Turchia, dove per conto dell’Ue si e’ piegata a qualunque compromesso di principio pur di elemosinare un arresto dei flussi migratori.
“L’Europa sta morendo perche’ e’ divenuta moralmente inetta. Non e’ nemmeno che l’Europa non si erga per nulla”. Piuttosto, “si e’ appiattita alla superficiale difesa di concetti superficiali: crede nei diritti umani, nella tolleranza, nell’apertura, nella pace e nel progresso, oltre che nell’ambiente e nel piacere”. Tutte belle cose, ma secondarie”. Cio’ in cui invece l’Europa non crede piu’, accusa Stephens, “e’ cio’ da cui le sue convinzioni hanno avuto origine: il Cristianesimo e il Giudaismo; il liberalismo e l’Illuminismo; l’orgoglio marziale e l’ingegno; il capitalismo e la ricchezza. Ancor meno, soprattutto, crede nello sforzo e nel sacrificio, specie se consacrati a principi, ne’ all’idea di pagare o difendere questi ultimi”.
Avendo “ignorato e attivamente minato le proprie fondamenta, la casa dell’Europa sta prevedibilmente cadendo a pezzi“. Il Vecchio Continente, scrive l’opinionista, ha scelto di rinunciare a darsi una identita’ e dunque una forma positiva: “Non e’ la Grecia e non e’ la Persia,. Non e’ Cristianita’ ne’ califfato. E queste sono differenze fondamentali: sostenere che l’Europa e’ una civilta’ a se’ stante non significa affermare che sia migliore o peggiore di altre, ne’ che debba essere chiusa”.
Purtroppo, l’Europa ha scelto, secondo Stephens, di trasformare la propria identita’ in una “nientita’”. Ed e’ questo, secondo l’opinionista, che rende “cosi’ stramba e disarmante la politica estera di Angela Merkel. La Cancelliera e’ leader di un partito che si e’ dato il nome di ‘Unione cristiano-democratica’”, eppure “domenica era a Istanbul ad offrire un accordo che accelererebbe l’ingresso in Europa della Turchia”. Si tratta “di una ‘machtpolitik’ al contrario”, che vede la Merkel e per suo tramite l’intera Ue “elemosinare favori di poco conto da potenze di second’ordine su questioni contingenti in cambio di vaste concessioni dalle implicazioni vaste e ramificate”.
I turchi, ricorda Stephens, “sono 75 milioni, e il loro pil pro-capite e’ inferiore a quello di Panama”. Il loro leader “e’ un presidente eletto dal piglio autoritario che sostiene apertamente Hamas, nega il genocidio degli Armeni, incarcera i giornalisti e orchestra processi in stile sovietico contro i suoi oppositori politici”.
La Turchia, inoltre, “confina con Siria, Iraq e Iran. Questi diventerebbero i confini dell’Europa, se la Turchia ne divenisse un paese membro. Le tradizioni politiche liberali, il retaggio religioso e culturale dell’Europa, potrebbero sopravvivere a lungo al massiccio afflusso di migranti dal mondo islamico, nell’ordine di decine di milioni di individui?” per Stephens, la risposta e’ ovvia: “No, e non certo date le premesse della infelice convivenza dell’Europa con la sua popolazione musulmana, e certo non sulle premesse di una politica migratoria basata sul solo criterio dell’auto-compiacimento morale e umanitaristico”.
Stephens conclude il suo durissimo attacco all’Europa dicendosi consapevole che il suo editoriale verra’ additato come moralmente riprovevole e politicamente scorretto: “E’ questa la natura dei nostri tempi: diventa difficile persino affermare che l’Europa non puo’ essere tale senza il suo retaggio fondamentale, senza quel matrimonio di ragione e rivelazione che ha prodotto una civilta’ all’apice del progresso tecnologico e al contempo della dignita’ umana“.
Parole che suonano come un epitaffio.
Redazione Milano. IL NORD
Articolo sublime,ma che purtroppo dà l’amarissima sensazione di un discorso funebre.