L’elogio della cittadinanza romana
L’estensione della cittadinanza trovò presso tutti i popoli che ne entrarono a far parte un consenso interessato, ma certamente positivo; nessun documento attesta tale consenso più chiaramente del pomposo, ma significativo, Elogio di Roma di un retore del II secolo, Elio Aristide, pronunciato nel 143 d.C. a Roma stessa.
Ma vi è qualcosa che, decisamente, merita altrettanta attenzione e ammirazione di tutto il resto: voglio dire la vostra generosa e magnifica cittadinanza, o romani, con la sua grandiosa concezione poiché non vi è nulla di uguale in tutta la storia dell’umanità.
Voi avete fatto due parti di coloro che vivono sotto il vostro impero – e cioè in tutta la terra abitata – e voi avete dappertutto dato la cittadinanza, come una sorta di diritto di parentela con voi, a coloro che rappresentano il meglio per talento, coraggio e influenza, mentre gli altri li avete sottomessi come sudditi.
Né i mari né le terre sono un ostacolo sulla strada della cittadinanza, l’Europa e l’Asia non sono trattate diversamente. Tutti i diritti vengono riconosciuti a tutti. Nessuno di coloro che meritano potere o fiducia ne è escluso, ma al contrario una libera comunità è stata creata in tutta la terra, sotto la direzione di un responsabile unico, garante dell’ordine del mondo, che è il migliore possibile; e tutti si volgono, perché ciascuno riceva ciò che gli spetta, verso la vostra cittadinanza, come verso una comune agorà.
E come le altre città hanno le loro frontiere e il loro territorio, questa città (la Vostra) ha per frontiere e per territorio l’intero mondo abitato.
[Elio Aristide, Elogio di Roma, 59-61]