Delirante discorso di Obama: “democrazia” è chi appoggia gli Stati Uniti

 

CounterPunch pubblica un articolo al vetriolo contro Barack Obama, il minaccioso (perché in fondo minacciato) presidente americano, che tuona contro tutti i paesi che non si conformano all’unica visione del mondo consentita: quella statunitense, cioè tutti coloro che non si sottomettono all’egida militare della NATO e a quella economica del Washington Consensus e del Fondo Monetario Internazionale. Il fatto che gli stessi Stati Uniti abbiano fino ad oggi sostenuto regimi tutt’altro che “democratici” in giro per il mondo, sembra trascurato dal presidente Obama. VOCI DALL’ESTERO

BarackObama

di Michael Hudson, 29 settembre 2015

Nel suo discorso orwelliano del 28 settembre 2015 alle Nazioni Unite, il Presidente Obama ha detto che se in Siria ci fosse stata la democrazia, non ci sarebbe mai stata la rivolta contro Assad. Con ciò si riferiva all’ISIS. Dove c’è la democrazia, ha detto Obama, non c’è violenza e non c’è rivoluzione.

Questa è stata la sua minaccia per promuovere la rivoluzione, i colpi di stato e ogni violenza contro i paesi che lui non considera “democrazia”. Nel fare questa malcelata minaccia, Obama ha ridefinito il termine nel vocabolario della politica internazionale. La democrazia è la CIA che detronizza Mossadegh in Iran per sostituirlo con Shah. La democrazia è il rovesciamento del secolare governo afgano da parte dei Talebani che combattono la Russia. La democrazia è il colpo di stato in Ucraina che ha portato Yats e Poroshenko. La democrazia è Pinochet. Sono “i nostri bastardi”, come ha detto Lyndon Johnson riferendosi ai dittatori latino-americani portati al potere tramite la politica estera degli Stati Uniti.

Cento anni fa la parola “democrazia” si riferiva ai paesi le cui politiche venivano decise da rappresentanti eletti. Fin dall’antica Atene, la democrazia era contrapposta all’oligarchia e all’aristocrazia. Ma dopo la Guerra Fredda e i suoi strascichi, questo non è più il modo in cui essa è definita dai politici americani. Quando un presidente americano usa la parola “democrazia”, intende un paese pro-americano che segue le politiche neoliberali degli Stati Uniti, non ha alcuna importanza se si tratta di un paese governato da una dittatura militare o il cui governo è stato portato al potere da un colpo di stato (sotto l’eufemismo di “rivoluzione colorata”), come in Georgia o in Ucraina. Un governo “democratico” viene ridefinito semplicemente come un governo favorevole al Washington Consensus, alla NATO e al Fondo Monetario Internazionale. È un governo che toglie il potere ai rappresentanti eletti per darlo in mano a una banca centrale “indipendente”, le cui politiche sono dettate dall’oligarchia di Wall Street, della City di Londra, o di Francoforte.

Data questa ri-definizione americana del vocabolario politico, quando il Presidente Obama dice che tali paesi non avranno colpi di stato, rivoluzioni violente o terrorismo, intende che i paesi che stanno saldamente nell’orbita diplomatica statunitense non correranno il rischio di una destabilizzazione condotta dal dipartimento di stato americano, dal dipartimento della difesa o dal ministero del tesoro. I paesi che votano democraticamente un governo o un regime che agisce indipendentemente (o anche solo che cercano di ottenere il potere per agire indipendentemente dalle direttive USA) saranno destabilizzati, come è successo in Siria, in Ucraina, o in Cile da parte del Generale Pinochet. Come ha detto Henry Kissinger, non perché un paese vota i comunisti, allora noi dobbiamo accettarli. È questo lo stile delle “rivoluzioni colorate” sponsorizzate dal “comitato nazionale per la democrazia”.

Nella sua replica alle Nazioni Unite, il Presidente russo Putin ha ammonito contro la “esportazione di rivoluzioni democratiche“, riferendosi agli Stati Uniti e al loro supporto verso i loro esecutori locali. L’ISIS è armato con gli equipaggiamenti americani, e i suoi soldati furono addestrati in passato dalle forze armate statunitensi. In caso ci fossero dubbi, il Presidente Obama ha ripetuto davanti alle Nazioni UNite che fino a che il Presidente siriano Assad non sarà rimosso in favore di un governo più compiacente verso le politiche americane ed energetiche americane, il maggiore nemico non è l’ISIS, ma Assad.

Non è più possibile tollerare l’attuale situazione“, ha detto il Presidente Putin. Lo stesso vale per l’Ucraina: “Ciò che penso sia assolutamente inaccettabile“, ha detto in un’intervista di 60 minuti alla CBS, “è che le questioni politiche interne dei paesi dell’ex URSS siano risolte tramite le ‘rivoluzioni colorate’, cioè tramite colpi di stato e illegittimi rovesciamenti dei governi. Questo è assolutamente inaccettabile. I nostri partner negli Stati Uniti hanno sostenuti quelli che hanno cacciato Yanukovych. … Sappiamo dove, quando e chi si è incontrato con quelli che lavoravano per cacciare Yanukovych, come venivano sostenuti, quanto venivano pagati, come venivano addestrati, e dove, in quali paesi, e chi erano li addestratori. Sappiamo tutto.“[1]

Tutto ciò dove porta le relazioni USA-Russia? Per un attimo ho sperato che il duro discorso anti-russo fatto da Obama servisse a fornire una copertura per un successivo accordo con Putin nel loro incontro delle cinque del pomeriggio. Parlare in un modo per poter poi agire in un altro è sempre stato il suo modus operandi, così come per molti politici. Ma Obama rimane sempre nelle mani dei neoconservatori.

Dove porterà tutto ciò? Ci sono molti modi per pensare al di là delle convenzioni. Cosa succede se Putin propone di trasportare via aereo o via nave i rifugiati siriani – fino a un terzo della popolazione – in Europa, facendoli sbarcare in Olanda o in Inghilterra, che secondo le regole di Schengen sarebbero obbligati ad accettarli?

E cosa succede se invece si porta in Russia i migliori informatici e altri lavoratori specializzati per i quali la Siria è rinomata, in aggiunta al flusso di immigrati che arrivano dalla “democratica” Ucraina?

Cosa succede se il piano congiunto annunciato domenica tra Iraq, Iran, Siria e Russia per una lotta contro l’ISIS – una coalizione alla quale gli USA/NATO si sono rifiutati di unirsi – si rivolta contro le truppe statunitensi o magari verso il maggior finanziatore dell’ISIS, l’Arabia Saudita?

Il gioco ora non è più nelle mani dell’America. Tutto ciò che essa riesce a fare è brandire la minaccia della “democrazia”, cioè dei colpi di stato, per riportare all’ordine i paesi recalcitranti come Libia, Iraq e Siria.

Note.

[1] “All eyes on Putin,” CBSNews.com, 27 settembre 2015