“C’era un uomo sui 45 anni che non avevo mai visto prima. Non era dei nostri… In questi anni mi hanno mostrato centinaia di fotografie ma non l’ho mai riconosciuto… Evidentemente mi hanno mostrato quelle sbagliate”.
Lo ha detto in un’intervista a Repubblica Gioacchino La Barbera, oggi collaboratore di giustizia, condannato a 14 anni di reclusione per la collaborazione alla strage in cui fu ucciso Giovanni Falcone. “Arrivò con Nino Troia – ricorda – il proprietario del mobilificio di Capaci dove fu ucciso Emanuele Piazza, un giovane collaboratore del Sisde che pensava di fare l’infiltrato”. Fu lui a dare materialmente il segnale per il via all’attentato. “Fui io a dare il segnale agli altri appostati sulla collina. Ero in contatto telefonico con Nino Gioè. Sapevamo che il giudice sarebbe arrivato di venerdì o sabato… Era tutto pronto, e il cunicolo già imbottito di esplosivo. Ce lo avevo messo io, due settimane prima”, ricorda.
A proposito delle dichiarazioni del boss Francesco Di Carlo , che dichiarò che le stragi furono pianificate in una villa di San Felice Circeo, nella provincia di Latina, in una riunione del 1980 a cui avrebbero partecipato anche numerosi iscritti alla loggia massonica P2, La Barbera dice: “So di riunioni con generali e di incontri tra Riina ed ex ministri democristiani. I loro nomi sono stati fatti, come quelli dei giudici che aggiustavano i processi… che ne parliamo a fare. Il fratello di Francesco Di Carlo, Andrea, faceva parte della commissione, e sapeva quello che Riina avrebbe fatto. Per questo si consegnò prima delle stragi: non voleva responsabilità”. Anche “Provenzano sapeva, mi pare ovvio. La decisione di far tornare a Corleone la moglie e i figli un mese prima di Capaci potrebbe non essere stato un caso”.
Secondo La Barbera, poi, l’omicidio di Piersanti Mattarella, fratello del presidente della Repubblica, “fu voluto da politici”. E “credo che Dalla Chiesa sia stato ucciso per fare un favore. Ma non ho le prove”.
Secondo La Barbera, Leoluca Bagarella ha messo una taglia sulla testa del capitano Ultimo dopo l’arresto del cognato: “Mi impressionò la sua rabbia e la determinazione a vendicarsi. Era impazzito: dava soldi a tutti i carabinieri e poliziotti che ci portavano notizie. Lo voleva, e lo vuole morto. Sarà pure in 41-bis ma è un furbo: lui sa che è questo il momento giusto per farlo fuori”.
E sulle false dichiarazioni di Vincenzo Scarantino a proposito della strage di via D’Amelio: “Mi assumo la responsabilità di quello che sto dicendo: all’inizio della mia collaborazione mi fu proposto di fare un confronto audio visivo con lo stesso Scarantino alla presenza dei carabinieri che l’avevano in gestione, funzionari della Dia e i magistrati di Caltanissetta che allora si occupavano del caso. Durante il confronto lo sbugiardai. Dissi subito che Scarantino non sapeva cose importanti di Cosa Nostra. Di quel confronto non c’è traccia: sono spariti verbali e registrazioni”. (La Presse)