di Vincenzo Merlo
Egregio direttore,
“Dagli anni ’90 le liberalizzazioni di assicurazioni, carburanti, Ferrovie, trasporti urbani, servizi finanziari non hanno portato nessun vantaggio economico alle famiglie italiane, bensi’ un aggravio di 110 miliardi di euro (286 euro l’anno a famiglia). Le uniche note positive vengono dai comparti dell’energia e dei telefoni.”
Basterebbe questo studio rigoroso della CGIA di Mestre per spezzare quell’alone di sacralità di cui vengono ammantate le cosiddette “liberalizzazioni”, diventate il nuovo idolo di buona parte del ceto politico e mediatico che sta uniformando il nostro Paese ad uno stucchevole “politically correct”, che finirà per distruggerlo. A partire dal tecnocrate Monti e dai suoi corifei, infatti, si vorrebbe far credere “urbi et orbi” che la chiave della futura crescita sia nella parola magica “liberalizzare”, imputando il mancato aumento del Pil italiano agli eccessi di regole e controlli che fino ad oggi hanno disciplinato gli ordini professionali e le categorie.
Ora, intendiamoci, alcune aperture ad una maggiore concorrenzialità possono essere salutari: penso alle reti energetiche, ai servizi pubblici locali, alla “casta” dei notai. Ma buona parte delle “liberalizzazioni” approvate dal Consiglio dei ministri del 20 gennaio, sono completamente fuori luogo e finiranno, unitamente all’innalzamento della pressione fiscale, con il distruggere segmenti vitali dei nostri settori professionali e di categoria. Mi riferisco in particolare alle misure che “liberalizzano” gli orari dei negozi (mettendo fuori gioco i piccoli a vantaggio della grande distribuzione), alle misure che aboliscono le tariffe minime e massime per le professioni, a quelle che penalizzano gli edicolanti, i tassisti, le farmacie, i benzinai.
Si tratta di un vero e proprio attacco a categorie e ordini professionali che si sono sempre dati regole condivise, che generano reddito e occupazione, che garantiscono la tenuta del sistema. Le misure del governo dei tecnici, in sostanza, peggioreranno le condizioni di vita di milioni di lavoratori, costretti a redditi più bassi e ad orari più elevati; il tutto per fare spazio alle grandi reti di Confindustria e delle Coop, pronte a gettarsi sulle praterie prefigurate dall’esecutivo Monti.
La filosofia del governo sembra essere proprio questa: infierire sui piccoli produttori per lasciare campo libero ai grandi. Davvero un bel servizio, presidente Monti! Un’altra riflessione si impone, considerando il caloroso appoggio del Partito Democratico a queste scelleratezze:
fino a pochi anni fa abbiamo avuto x nostra disgrazia il partito comunista più forte dell’occidente: il pci demonizzava l economia di mercato (l’odiato “capitalismo”), e tutto quanto sapeva di concorrenza, proprietà privata e libera iniziativa privata.
Ebbene, morto e sepolto il comunismo, gli ex leader del pci, senza mai chiedere scusa x aver sbagliato tutto, si sono riciclati con un altro innamoramento: quello del liberismo piu ‘ sregolato, che recide (come appunto le “liberalizzazioni” all’italiana) segmenti importanti di società. Senza se e senza ma, hanno cioè abbracciato, idolatrandolo, il dapprima vituperato liberismo, esaltandone anche gli aspetti più deteriori.
I mass media, prima imbevuti delle ottusità antistoriche del marxismo, sono ora diventati cassa di risonanza di un ideologia, quale il “politically correct” oggi imperante, che conserva della vecchia visione comunista gli aspetti anticlericali e sostanzialmente atei e relativisti, arricchiti ora di un liberismo esasperato, che esalta la concorrenza anche dove essa fa più danni che altro. Da cattolico seguace della dottrina della Chiesa, ho sempre diffidato dei comunisti, ma non ho mai idolatrato il liberismo, che risulta non esente da pecche, e che va corretto e temperato.
Ecco perché personaggi come Napolitano e Bersani, primi alleati del tecnocrate Monti, non possono dare lezioni a nessuno. Prima innamorati del marxismo, ora dell’ ideologia opposta, agli estremi. Sbagliavano prima, sbagliano ora. Distinti saluti
Vincenzo Merlo