LA QUESTURA DI GENOVA VIETA AI POLIZIOTTI DI RACCOGLIERE FIRME PER CHIEDERE LA RIMOZIONE DEL MONUMENTO A CARLO GIULIANI IN PIAZZA ALIMONDA, E PERSINO DI DIVULGARE LE RAGIONI L’INIZIATIVA CON UNA VELA PUBBLICITARIA. IL COISP: “UN MOSTRO GIURIDICO, POLIZIOTTI NUOVI PARIA, SENZA DIRITTI”.
Il Segretario Generale dei COISP, Franco Maccari, ha presentato un nuovo ricorso al Prefetto di Genova contro l’ulteriore provvedimento di divieto emanato della Questura del capoluogo ligure, con il quale viene impedito al Sindacato Indipendente di Polizia di raccogliere le firme, come avverrà in ogni provincia d’Italia, per la rimozione del monumento in memoria di Carlo Giuliani in piazza Alimonda, e di divulgare le ragioni della stessa iniziativa attraverso una “vela” pubblicitaria. Il divieto segue il primo “no” indirizzato al COISP dalla Questura, relativo allo svolgimento il 20 luglio in piazza Alimonda della manifestazione-dibattito dal titolo “L’estintore come strumento di pace”, il cui svolgimento era stato già comunicato con larghissimo anticipo agli organi competenti.
“Il divieto è un provvedimento gravissimo – commenta Franco Maccari – che limita la libertà di espressione del pensiero, che è garantita dalla Costituzione a tutti i cittadini, compresi i poliziotti, nonostante qualcuno evidentemente ritenga il contrario, tanto da arrivare ad impedire l’allestimento di banchetti nelle otto piazze di Genova in cui era stata prevista la raccolta di firme ed addirittura la circolazione di una vela pubblicitaria, non solo il 20 luglio, ma anche il giorno successivo! Tutto ciò per consentire la serena partecipazione alla manifestazione organizzata dal ‘Comitato Piazza Carlo Giuliani Onlus’ di quelle che la stessa Questura definisce come le “aree più radicali dell’antagonismo”, ovvero di quei black block che in occasione del G8 del 2001 misero a ferro e fuoco Genova, devastando la città e sfogando la loro violenza contro le Forze dell’Ordine”.
“La Questura di Genova ha deciso che il diritto a manifestare il proprio pensiero debba essere garantito soltanto a coloro che intendono scendere in piazza ad onorare chi nella sua vita si è distinto soltanto per aver tentato di uccidere un Carabiniere, restando ucciso a sua volta. I poliziotti sono invece senza diritti, i nuovi ‘paria’ della società italiana, gli “impuri”, estromessi dalle tutele del sistema democratico”. “Siamo di fronte ad un assurdo giuridico – spiega Maccari -, un mostro per un ordinamento democratico, per cui un Questore della Repubblica Italiana è giunto non a vietare una riunione, perché non di una riunione si trattava, ma la libertà di manifestazione del pensiero. Questo potere, quello di conculcare tale fondamentale libertà nel nostro ordinamento, non è riconosciuta nemmeno al giudice che può sì condannare il reo di diffamazione, ma di sicuro non può mettergli la mordacchia. Ricordo che la libertà di manifestazione del pensiero rientra, secondo la Corte Costituzionale, tra i diritti inviolabili dell’uomo ed è “pietra angolare dell’ordine democratico”, “cardine di democrazia nell’ordinamento generale”, “coessenziale al regime di libertà garantito dalla Costituzione”.
La stessa Corte costituzionale ha affermato “la rilevanza centrale che la libertà di manifestazione del pensiero, anche e soprattutto in forma collettiva, assume ai fini dell’attuazione del principio democratico”, ed ha sancito che nel nostro ordinamento l’idea, condivisibile o meno, che sta alla base di tale manifestazione è totalmente irrilevante rispetto alla libertà di esprimerlo. Non sono affatto sufficienti, pertanto, le “immediate e sdegnate reazioni da più parti del mondo politico genovese e nazionale” sottolineate dalla Questura rispetto al tema della nostra iniziativa”. “Noi restiamo rispettosi delle decisioni degli organi competenti – conclude Maccari – ma non retrocediamo di un passo rispetto alla volontà di sostenere che Carlo Giuliani, con tutto il rispetto che si deve ad un giovane che ha perso la vita, non debba essere commemorato con tutti gli onori, quasi fosse un martire, né che debba essere mostrato ai giovani come un esempio da imitare. Vogliamo che il monumento a Carlo Giuliani venga rimosso da piazza Alimonda, perché la sua installazione rappresenta l’idea distorta secondo la quale devono essere tributati onori a chi viola la legge e addirittura tenta di uccidere un Appartenente alle Forze dell’Ordine. Questa non può essere ritenuta una semplice provocazione, ma è un pensiero condiviso da migliaia di italiani perbene che il 20 luglio sottoscriveranno la nostra petizione in centinaia di banchetti allestiti in tutta Italia, fuorché in una Genova ancora una volta ostaggio dei black block e di chi, nella politica e nelle Istituzioni, ne legittima l’arroganza e la violenza”.
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RICORSO DEL COISP (SINDACATO POLIZIA)
Al Sig. Prefetto della Provincia di Genova
Oggetto: Ricorso avverso provvedimento di divieto emanato dal Questore di Genova con nota nr. 2 prot. 3323/2015/Gab. del 17 luglio 2015 dell’iniziativa pubblicitaria e raccolta firme per la rimozione del monumento alla memoria di Carlo Giuliani in P.zza Alimonda
Il sottoscritto Franco Maccari, nato a Scorzè (Ve) il 12/06/1963, Segretario Generale nonché legale rappresentante dell’Organizzazione Sindacale del Personale della Polizia di Stato Co.I.S.P.,
premesso che
1. in data 15 luglio 2015 il Segretario Provinciale di questa O.S. sig. Matteo Bianchi ha indirizzato alla Questura di Genova, al Sindaco della città ed alla S.V. l’unito preavviso dell’iniziativa pubblicitaria in oggetto (all. 1) integrato con nota del 16 luglio 2015 indirizzata alla Questura di Genova (all. 2);
2. il suddetto preavviso, ritualmente prodotto, riporta puntualmente il percorso e le località ove circolerà una “vela” pubblicitaria ove è sintetizzato, per immagini, il pensiero di questa Organizzazione Sindacale sul monumento collocato in P.zza Alimonda alla memoria di Carlo Giuliani;
3. tale iniziativa, che è da ascriversi non alla libertà di riunione, ma a quella di manifestazione del pensiero si pone in linea con numerose ulteriori analoghe sul tema, di questa O.S., che intende, a tutela dei propri iscritti e dell’intera categoria che rappresenta, legittimamente (pacificamente e senz’armi) esporre, la propria posizione sulla permanenza nella suddetta P.zza Alimonda di un monumento intitolato al suddetto Giuliani che, a giudizio di questa O.S. (seppur nel rispetto che umanamente deve essere tributato alla sua scomparsa) non risulta essersi in vita mai distinto in nulla se non per aver tentato, per motivi ingiustificabili, di provocare lesioni o danni più gravi a dei militari dell’Arma dei Carabinieri, in evidente inferiorità numerica, ed in questa circostanza aver trovato la morte, per ragioni su cui, in ogni grado di giudizio ed in ogni sede giudiziaria nazionale ed internazionale, è stata mai espressa una valutazione di responsabilità di chicchessia.
4. il giorno 17 luglio 2015 è stato notificato dal Capo di Gabinetto della Questura al sig. Matteo Bianchi, Segretario Generale Provinciale di questa O.S., il provvedimento di divieto citato in oggetto (all. 3);
5. tale provvedimento, a giudizio di questa O.S. risulta essere totalmente illegittimo ed illecito in quanto costrittivo non già della libertà di riunione, ma della libertà di espressione del pensiero.
ricorre alla S.V. avverso il suddetto divieto per il seguente motivo:
IN DIRITTO
Carenza di potere. L’art. 21 della Costituzione prescrive che tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Nella norma costituzionale (diversamente da quanto avviene per la libertà di riunione che prevede limiti – pacificamente e senz’armi – e possibilità di prescrizioni o divieti per comprovati motivi di sicurezza o incolumità pubblica), tipica di uno stato democratico di diritto, non si individuano elementi limitativi di tale fondamentale libertà, se non l’altrui onore e reputazione.
La libertà di manifestazione del pensiero rientra secondo la Corte Costituzionale tra i «diritti inviolabili dell’uomo» di cui all’art. 2 Cost. (sentenza n. 126 del 1985), con la conseguenza, da un lato, che la Repubblica ha il dovere di garantirla anche nei confronti dei privati (nel senso che «non è lecito dubitare che la libertà [in parola] debba imporsi al rispetto di tutti, delle pubbliche autorità come dei consociati, e che nessuno possa arrecarvi attentato», sentenza n. 122 del 1970) e, dall’altro, della non sopprimibilità della stessa.
La stessa Corte ha posto un forte accento sul rapporto tra libertà di manifestazione del pensiero e regime democratico, affermando che la prima è «pietra angolare dell’ordine democratico» (sentenza n. 84 del 1969), «cardine di democrazia nell’ordinamento generale» (sentenza n. 126 del 1985). In senso analogo, anche le sentenze: n. 11 del 1968, che definisce il diritto di cui all’art. 21 Cost. «coessenziale al regime di libertà garantito dalla Costituzione»; n. 98 del 1968, secondo cui la «libertà di manifestazione del pensiero […] è ordine dell’ordinamento democratico»; n. 126 del 1985 (già citata), ove si ribadisce «la rilevanza centrale […] che la libertà di manifestazione del pensiero, anche e soprattutto in forma collettiva, assume ai fini dell’attuazione del principio democratico».
La stessa Corte Costituzionale in memorabili sentenze ha sancito che è irrilevante l’aspetto “funzionale” della liberà rispetto al pensiero, nel senso che nel nostro ordinamento l’idea, condivisibile o meno, che sta alla base di tale manifestazione è totalmente irrilevante rispetto alla libertà di esprimerlo.
«Ne consegue che limitazioni sostanziali di questa libertà non possono essere poste se non per legge (riserva assoluta di legge) e devono trovare fondamento in precetti e principi costituzionali (…)».
Nel caso di specie, quindi, siamo di fronte ad una assurdo giuridico, un mostro per un ordinamento democratico, per cui un Questore della Repubblica Italiana è giunto non a vietare una riunione, perché non di una riunione si trattava, ma la libertà di manifestazione del pensiero.
Questo potere, quello di conculcare tale fondamentale libertà nel nostro ordinamento, non è riconosciuta nemmeno al giudice che può sì condannare il reo di diffamazione, ma di sicuro non può mettergli la mordacchia.
Di sicuro, quindi, il richiamo all’art. 18, 4° comma del T.U.L.P.S. è assolutamente improprio ed inconferente, per cui il provvedimento adottato risulta essere stato emanato in totale carenza di potere.
E’ chiaro che la S.V. a cui spetta, in qualità di rappresentante del Governo nella provincia, la “vigilanza” sugli uffici periferici dello Stato, non dovrebbe tollerare che provvedimenti limitativi di diritti costituzionali di cittadini italiani, vengano adottati in totale carenza di norme che attribuiscono il relativo potere.
E’ altresì chiaro che la carenza di potere espone chi ha emanato il provvedimento non più illegittimo, bensì illecito, alla tutela risarcitoria in sede civile che questa O.S. non esiterà ad attivare in difetto di un tempestivo annullamento da parte della S.V.
Per questi motivi si chiede che la S.V. provveda all’annullamento immediato del provvedimento in oggetto. Chiede, altresì, di essere sentito personalmente in limine decisionis.
Il Segretario Generale del COISP
Franco Maccari