Pace, guerra e il destino di un Occidente in frantumi

Pace, guerra e il destino di un Occidente in frantumi

L’Occidente è andato a sbattere contro il muro russo, mentre l’Unione europea abbandona ogni giorno che passa i principi della democrazia liberale

di Giuseppe Romeo – Si potrebbe iniziare citando molti esperti del momento se non fosse che nell’ultima intervista resa da Emmanuel Todd a David Teurtrie, nel confrontarsi sulle capacità strategiche dell’Unione europea, lo storico e politologo francese sottolineava come e in che misura la disgregazione dell’Occidente sia in fondo null’altro che il prezzo da pagare per una miopia posta verso le vere ragioni della crisi russo-ucraina e nel non comprendere capacità e animo della Russia quale esperienza storica più che millenaria
(Il riarmo degli imbecilli in https://www.youtube.com/watch?v=dOzWGhb_STQ)

Emmanuel Todd, un intellettuale non iscritto in alcun libro mastro, che avverte su come dovremmo prendere delle opportune precauzioni nel dar credito a narrative e interpretazioni offerte da analisti presenti nel dovunque mediatico occidentale, caratterizzati da un unico fil rouge che li allinea: la loro scarsa profondità di vedute.

Una profondità assente, se non sacrificata alle ragioni di quel politicamente corretto del cotto e mangiato da coloro che, senza alcuno sforzo nel professare guerre per presunti diritti da difendere, se ne guardano bene dal combatterle andando oltre il confine del proprio divano o uscendo dal ben pagato salotto di un talk televisivo. Una profondità d’animo che, meno che mai, non sembra albergare in quella parte di Europa dei volenterosi. Ovvero, di quei, inaspettati sino a ieri, cavalieri senza macchia e senza rimorsi rappresentati da leader che, come ricorda Todd, forse mai come in questo periodo sono proprio loro a interpretare – nelle loro fobie che accecano la soluzione possibile di un conflitto che si poteva evitare – il vero pericolo per l’Occidente europeo.

Un pericolo nel continuare a cercare di provocare uno scontro definitivo a quanto lentamente permesso compiacendo politiche e interessi altrui dal 2004 in avanti e portato alle conseguenze del febbraio 2022. Un pericolo che proviene dalla inconsistenza e dalla compulsività tipica di una mediocritas al potere non certo ritrovabile in quel in media stat virtus e che rende tutto più urgente, emergenzialmente ineluttabile, quasi divinamente sacrificabile sugli altari della vanità patologica di coloro che vedono naufragare quanto pianificato, sotteso alle azioni, nascosto nelle intenzioni ma reso noto dai fatti.

Un pericolo, questo, risultato di una deriva verso un bellicismo tutto eurounionista, con buona pace …della stessa pace, che sembra essere il nuovo fantasma che si aggira nelle cancellerie più blasonate, da Londra a Parigi, dove entra in scena una sorta di delirio da vanità da uomini del destino …degli altri. Un destino che trasforma i Macron, gli Starmer e coloro che li seguono, in presunti eroi di cristallo. Eroi pronti a montare su cavalli che difficilmente riuscirebbero a governare una volta obbligati al galoppo, lanciati a superare ampi e mortali confini se l’ebrezza di indossare a loro volta un girocollo verde militare e lucidi stivali da parata dovesse impossessarsi di costoro.

Ma a Todd si aggiunge anche Jeffrey Sachs con il suo intervento al Parlamento europeo del 27 marzo (https://www.youtube.com/watch?v=PBfgiq7n848) a cui lo stesso Brzezinski non stava particolarmente simpatico nel considerare, per Sachs, che sulla scacchiera mondiale (The Great Chessborard, 1997) non sarebbero rimasti solo gli Stati Uniti con la loro potenza a decidere il futuro dell’umanità come pronosticato, al contrario, dal mentore neocon di origine polacca, ma anche altri nuovi protagonisti che sarebbero sopravvissuti a una storia già vista, vero, ma di certo poco inclini a uscirne senza giocare le carte della sopravvivenza politica ed economica dei rispettivi popoli.

Ecco, allora, che al di là delle considerazioni sui massimi sistemi geopolitici ed economici, al cui interno l’Occidente perde di aderenza, ogni giorno che passa il vero argomento che fa la differenza è il considerare proprio le leadership dell’Unione non connesse con la realtà del campo di battaglia oggi ucraino o, in un lugubre futuro, se fosse, contro la stessa Federazione russa.

Ma ritenere le leadership dell’Ue+l’UK non connesse è ancora un punto di favore considerando che, al contrario, più che non connesse, i leader e i loro argomenti si presentano improvvisati, affidati a happening di circostanza, mosse dal fiato delle trombe di un’Apocalisse che non avrebbe pietà di nessuno almeno in Europa: neanche di ciò che resta di una sempre meno democratica Unione europea già ridotta ad un fantasma politico e geopolitico dopo essersi trasformata in un’entità tecnocratica – al limite di un’autocrazia affidata alle cure della sua commissaria – che abbandona ogni riferimento alle origini di un’idea che avrebbe potuto e dovuto fare la differenza proprio in queste ore.

L’idea che Parigi e Londra possano impossessarsi dei destini dei popoli europei attraverso un’alleanza di fatto morganatica, mentre Berlino tenta di smarcarsi lentamente da una trappola ben cucita sulle sorti dell’economia tedesca in piena mancanza di ossigeno – consapevole di tornare a essere la terra di mezzo di uno scontro tra cavalieri mal sellati su destrieri poco affidabili e pronti a disarcionarla – sembra essere sostenuta più dalle angosce di un fine-tempo per Macron e Starmer che dalle intemperanze e i finti disappunti tra Trump e Putin. Un’idea di egemonia continentale ritagliata per differenza tra Parigi e Londra sostenuta più per frustrazione, per la marginalità geopolitica cui si sono, ci siamo, autocondannati per non aver voluto assumere, sin dall’inizio della crisi russo-ucraina, un ruolo negoziale e sia per aver scelto ora l’una ora l’altra presidenza americana quasi come se ogni amministrazione a Washington dovesse mettere avanti a se stessa, agli interessi degli Stati Uniti, le comodità europee e i costi di un continente che da dopo Potsdam, inaugurando subito dopo il nuovo corso con l’ERP, è stato e lo è ancora, sotto amministrazione controllata USA.

Oggi, superare quel punto di non ritorno di un conflitto allargato a nuovi scenari e a nuove forme non sperimentate in una escalation nucleare rischierebbe di chiudere ogni possibilità di sopravvivenza, della sua stessa esistenza quale parte di un’umanità storica che già oggi tenta di liberarsene per inaffidabilità e per supponenza nel ritenersi ancora alla guida di un modello di relazioni internazionali sempre più policentrico e con il quale la stessa vocazione imperiale americana deve fare i conti, Russia e Cina permettendo.

Combattere una guerra che non si sa come vincerla non è certo un buon viatico strategico e citare Sun Tzu o un pò più vicino Clausewitz non muterebbe i termini dell’assurdità politica di una volontà d’intervento espressa senza strategia, senza un obiettivo credibile da conseguire perché, appunto, conseguibile.

Il bellicismo europeo, infatti, non soddisfatto di aver usato gli ucraini come vittime di un Occidente ipocrita supportati da nazionalisti senza scrupoli in una nazione che certamente ha della democrazia una sua interpretazione ha visto, al contrario, una Russia adattarsi alle conseguenze della guerra. L’economia della Federazione russa, nonostante embarghi e sanzioni, è andata avanti apprezzando il rublo sui mercati finanziari mondiali – e poco importa se una certa stampa attribuisce all’apprezzamento stesso della moneta russa un carattere negativo, ma i risultati sono evidenti – mentre la politica interna ha visto una normalizzazione della società russa quasi come se si replicasse il rischio di una nuova minaccia alla Grande Madre da parte del Napoleone di turno.

In tutto questo, gli Stati Uniti di Trump, per quanto oggi geopoliticamente compulsivi dopo aver sperimentato una demenza geopolitica, si dimostrano molto pragmatici e realisti accettando il fallimento delle operazioni militari in Ucraina ma andando, però, all’incasso. Questo, considerando che il gioco non è più sostenibile dal momento che non vi è più alcun mezzo di pressione utilizzabile sui russi. In questo senso, al di là delle pessime imitazioni di Trump di un Theodore Roosevelt non rinvenibile nelle convention a stelle e strisce, l’unica via per ottenere qualcosa dai russi, come ricorda Todd, ma anche lo stesso Sachs è ripristinare buoni rapporti economici con Mosca, superando quel velleitarismo europeo strumentale solo a mantenere in gioco leader senza qualità che ricordano quell’Uomo senza qualità di Robert Musil (Der Mann ohne Eigenschaften, romanzo incompiuto scritto tra il 1930-1933-1943). Leader di un’Europa che la storia ha già condannato ma, a quanto pare, non ancora i rispettivi popoli.

La verità è che al netto dei risultati sul campo di battaglia pagati dal sangue ucraino versato per procura euro-atlantica, l’Unione europea ha già perso la battaglia economica, mentre gli Stati Uniti di Trump tentano di correre ai ripari ricostruendo una credibilità economico-produttiva ben sapendo che la credibilità militare è funzione della ricchezza stessa. Questo, aspettando tempi migliori e certamente non valutando alcuna possibilità, in caso di conflitto, provocato o meno, di minacciare il ricorso all’articolo 5 del Trattato dell’Atlantico del Nord lasciando che gli europei tolgano dal fuoco le solite castagne da fine stagione.

Insomma, facendocene una necessaria ragione e nella consapevolezza che l’unico con cui negoziare in assenza di altri leader, e forse per fortuna visto il rischio di trovarsi nei mesi passati un regime change più radicale ed estremo di quello garantito dalla presenza di Putin – l’Occidente è andato a sbattere contro il muro russo, mentre l’Unione europea abbandona ogni giorno che passa i principi della democrazia liberale facendo finta di non accorgersene.

Un ripiegamento su se stessa della Ue, ormai ostaggio di decisori mediocri, incapaci di guardare alla stessa storia che maldestramente li ha prodotti e che non sa come liberarsene in un momento in cui i popoli dell’Europa sembrano ipnotizzati da dichiarazioni e happening compulsivi. Un’Europa che ha determinato nei suoi cittadini solo sentimenti di rinuncia se non di disinteresse rischiando di pagare, proprio per disinteresse, gli errori di quei leader improvvisati e senza costrutto che oggi definiscono una Ue oligarchica, tecnocratica e quasi votata all’autodistruzione.
https://giusepperomeo.eu

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