di Carlo Nicolato – Tra gli ordini esecutivi del presidente Trump che gli agguerriti giudici federali in quota Dem hanno bloccato c’è anche quello che tentava di porre fine alla cittadinanza per nascita per i bambini nati da genitori che si trovano nel Paese illegalmente o temporaneamente. In sostanza si trattava di un provvedimento che tentava di limitare lo “ius soli” attraverso una nuova interpretazione del 14esimo emendamento.
Il magistrato bastonatore è il giudice distrettuale del Maryland Deborah Boardman, la quale nel giustificare la sua decisione ha usato parole pesanti, come il fatto che l’ordine del presidente era «palesemente incostituzionale» e che la legge che prevede che «ogni bambino nato sul suolo statunitense è un cittadino statunitense alla nascita» è «tradizione indelebile del nostro Paese».
Dalla fine del XIX secolo infatti l’emendamento è stato interpretato da tribunali, tra cui la Corte Suprema, come se garantisse automaticamente i diritti di cittadinanza ai bambini nati sul suolo statunitense, con l’eccezione dei figli dei diplomatici. I conservatori sostengono invece da tempo che tale interpretazione attrae immigrazione illegale e produce quello che viene chiamato “turismo delle nascite” di gente che si reca appositamente negli Stati Uniti per avere un figlio che diventerà automaticamente cittadino americano.
Secondo i repubblicani lo “ius soli” così com’è non può più essere permesso, vista la crisi migratoria in atto, e l’ordinanza di Trump è «parte integrante» dell’obiettivo del presidente di affrontare «il sistema di immigrazione in rovina e l’attuale crisi al confine meridionale» del Paese. L’ordinanza peraltro non dava un’interpretazione tale da cancellare il diritto in toto, ma solo quello relativo ai figli di cittadini stranieri che si trovano illegalmente negli Stati Uniti.
Trump potrà fare ricorso ma potrebbero volerci mesi se non addirittura anni perché l’iter giudiziario sia concluso. Gli oppositori dell’ordine esecutivo si sono aggrappati anche al fatto che il presidente ha dichiarato che gli Stati Uniti sono l’unico Paese al mondo a concedere tale diritto tout court, il che è palesemente non vero, anche se in realtà la dichiarazione va letta in una luce diversa.
I Paesi che concedono lo ius soli vero e proprio, cioè incondizionato, sono tutti quelli del continente americano tranne la Colombia e la Repubblica Dominicana, più un paio di Paesi africani (Tanzania e Lesotho) e il Pakistan. Ovvero la totalità dei Paesi dove ancora esiste lo “ius soli”, sono Paesi esportatori di migrazione. Con la significativa eccezione, oltre che degli Stati Uniti, del Canada, dove non a caso anche qui c’è un ampio movimento conservatore che punta all’eliminazione del diritto di cittadinanza per nascita.
In tutti gli altri Paesi dove ci si riferisce allo “ius soli” e non allo “ius sanguinis”, si parla in realtà di un diritto condizionato, cioè di “ius soli temperato”. È il caso di molti Paesi europei come l’Irlanda dove un bambino può ottenere la cittadinanza se almeno uno dei genitori risiede nel Paese legalmente da tre anni, o la Germania dove ce ne vogliono cinque. In Francia invece vige il regime del cosiddetto “doppio ius soli”, un bambino nato da genitori stranieri può ottenere la cittadinanza se ha vissuto in Francia per cinque anni a partire dagli 11 anni di età, o può riceverla anche a partire dai 13 anni se risiede nel Paese dall’età di 8. Ma può anche riceverla se nasce sul territorio dello Stato da due genitori stranieri e la madre o il padre sono nati a loro volta nel Paese. Tali limitazioni tuttavia per molti non sono più sufficienti.
Proprio in Francia la destra di Rassemblement National si batte per l’eliminazione completa dello “ius soli” e sul punto potrebbe trovare un’insperata sponda dai centristi che hanno appena votato all’Assemblea Nazionale una legge che prevede restrizioni al diritto nel territorio d’oltremare di Mayotte, remota porta di ingresso dei migranti africani in Europa. Il provvedimento approvato prevede che la nazionalità francese per i nati a Mayotte venga condizionata dalla residenza regolare dei genitori sul territorio per un anno, mentre in precedenza bastava la residenza di un solo genitore per tre mesi. In pratica una limitazione identica a quella che Trump vorrebbe applicare per il suo Paese.
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