È una tragedia che la magistratura si lasci influenzare dalle sequenze concitate di un video messo in onda dalla tv
di Fabrizio Gatti per www.today.it/opinioni – Dopo la trasmissione del filmato, l’accusa nei confronti del carabiniere al volante della pattuglia Volpe 60 potrebbe infatti aggravarsi: dall’omicidio stradale all’omicidio con dolo eventuale. In caso di condanna, la pena di riferimento passerebbe infatti da 2-7 anni a non meno di 21, come l’omicidio volontario. Ma è assurdo perfino parlare di omicidio stradale, reato che riguarda “chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale”.
Ramy Elgaml, 19 anni, era seduto dietro. E il suo amico Fares Bouzidi, 22 anni, anche lui indagato per omicidio stradale, era alla guida di un grosso scooter. Avevano forzato due alt dei militari e stavano scappando da una ventina di minuti. Venti minuti. Tre pattuglie dei carabinieri, tra le quali Volpe 60, stavano provando a fermarli. Facevano il loro lavoro istituzionale, immaginando forse che i due ragazzi nascondessero chissà che cosa, per fuggire con così tanta determinazione. Se proprio il carabiniere alla guida deve essere indagato, anche a sua tutela, per l’accertamento dei fatti, l’ipotesi dovrebbe semmai essere contenuta nell’omicidio colposo: “Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni”.
L’indagine e il silenzio del procuratore Marcello Viola
La morte di un ragazzo è sempre una tragedia. Per i suoi genitori, per i suoi amici, per tutti. Ma lo sarebbe anche accettare che l’attività della magistratura sia facilmente influenzabile dalla pressione sociale. E perfino dai social. Le immagini mandate in onda fanno parte del fascicolo di indagine: allora perché non ipotizzare subito il reato più grave e non soltanto dopo la diffusione del video, che proprio i carabinieri avevano consegnato alla Procura?
Siamo a Milano. L’inseguimento finito con l’incidente mortale risale alle 4.03 di domenica 24 novembre in via Quaranta, a Rogoredo. Periferia che all’indomani del fatto, per alcune sere, è stata messa a fuoco da bande di teppisti con la scusa della morte di Ramy. Far passare oggi i carabinieri come assassini significa innescare una pericolosa bomba a orologeria: perché se un giudice dovesse in futuro prosciogliere i militari, riconoscendo la circostanza che è stato un incidente dovuto alla fuga spericolata, i pseudo amici di Ramy tornerebbero a dare fiamme al quartiere. È già successo a Parigi anni fa. Per le stesse ragioni. Forse il procuratore di Milano, Marcello Viola, che è un magistrato estremamente equilibrato, dovrebbe al più presto esprimersi ufficialmente: i carabinieri sono o no indagati per omicidio volontario (con dolo eventuale)? E se lo sono, perché?
Le frasi sotto accusa rivelano la tensione dell’inseguimento
Le frasi pronunciate dai militari durante l’inseguimento sono indecenti, se le ascoltiamo seduti a tavola o sul divano davanti alla tv: “Vaff… non è caduto”, dopo un tentativo di speronamento per fermarli. “Chiudilo, chiudilo, chiudilo che cade. Nooo… non è caduto”, quando Fares e Ramy si infilano tra un Suv e le auto parcheggiate. “Via Quaranta-Ortles son caduti”, avverte via radio un carabiniere indicando il luogo. “Bene”, risponde un collega.
L’ex capo della polizia Franco Gabrielli: “Inseguimento non corretto”
Dopo 8 chilometri di inseguimento attraverso la notte deserta di Milano, avrebbero potuto dire ben di peggio. Chi di voi non ha mai augurato “ma schiantati” al bullo in autostrada che ti si incolla al paraurti? Significa avere intenzioni omicide? Se avessero davvero voluto uccidere, avrebbero potuto sparare ai fuggitivi, come si usava anche a Milano fino a una trentina di anni fa. Oppure avrebbero potuto travolgerli in pieno rettilineo, o investirli durante quel tentativo di speronamento, insegnato nei corsi di guida veloce, ma così debole da non farli cadere.
Stipendio da 1400 euro lordi: si dovranno pagare l’avvocato
L’ordine all’unico testimone dell’incidente di cancellare le immagini dal suo telefonino è sì un abuso. Polizia, carabinieri e polizia locale lo fanno spesso quando un loro collega è coinvolto in fatti di cronaca. E, come ha detto l’ex capo della polizia, Franco Gabrielli, l’inseguimento non avrebbe rispettato il principio di proporzionalità. Ma da qui a far passare i carabinieri per presunti assassini è un azzardo. Perché fa credere a ragazzi senza legge come Ramy e Fares che sono loro gli eroi della periferia, vittime di un razzismo che, almeno in questo caso, non esiste. Quando i veri eroi sono le persone – italiane e non – che faticano, come il padre di Ramy, lavorano, studiano, si riscattano. Senza scimiottare l’imbecillità dell’ideologia “woke” che già in Francia, così come negli Stati Uniti, mantiene le periferie sotto il giogo dell’ignoranza, del consumo di droghe e della violenza dei gangster.
Se ci sono delle vittime proletarie in questa storia, non sono certamente Ramy Elgaml e Fares Bouzidi, l’amico tunisino, che pur senza patente guidava uno scooter Yamaha T Max da 11 mila euro. Sono piuttosto i carabinieri. Nell’inseguimento hanno loro stessi rischiato la vita per uno stipendio di 1400 euro lordi al mese. Lordi. E ora, per qualche anno di processo, dovranno pure pagarsi l’avvocato, per difendersi dall’ingiusta vergogna di essere chiamati assassini.