“Quando il tuo cuore chiama, tu come rispondi? Damasco, tu sei il calice, il pennello, la spada…” – Così diceva il mio amico Ouday, il vecchio siriano
La crisi siriana è iniziata silenziosamente nel 2009, tra diplomatiche strette di mano e sorrisi di circostanza, quando John Kerry incontrò a Damasco il presidente Assad, succeduto al padre alla guida della Siria. Kerry intendeva formalizzare l’ultimatum di Washington alla Repubblica Araba di Siria: Assad doveva abbandonare i suoi tradizionali alleati russi, i palestinesi, l’Iran degli Ayatollah e quindi il movimento politico militare Hezbollah che era il braccio di Teheran in Libano ed iniziare una nuova politica favorevole a Stati Uniti, Europa, Turchia e Israele. In cambio sarebbe rimasto al potere e avrebbe conservato il suo prestigio e la sua presa sulla nazione, presentato al mondo dai grandi media occidentali come un presidente saggio ed illuminato. In caso contrario la Siria sarebbe stata distrutta e spartita, come era già stato previsto ed effettivamente avvenne con la Libia di Gheddafi.
Assad rifiutò l’accordo e nel 2011 iniziarono i primi tumulti, mascherati da lotta per la democrazia in quella che all’epoca fu definita “primavera araba”. Gli scontri di piazza (in stile Maidan, come più tardi a Kiev e ora anche a Tbilisi) sfociarono presto in una guerra aperta tra il governo di Damasco e milizie di tagliagole sotto varie sigle. Tutte genericamente affiliate ad al-Qaeda e apertamente propense ad uccidere con estrema facilità, specialmente quando sotto l’effetto della droga chiamata Captagon che veniva loro fornita in grande quantità dagli Occidentali, assieme a supporto logistico, intelligence, armi e munizioni.
La guerra ha avuto fasi alterne e il destino della Siria degli Assad sembrava essere quello peggiore ma l’intervento iraniano, sotto la guida del grande generale Soleimani (un vero e proprio campione di umanità) e il successivo, inatteso e stupefacente, intervento russo ribaltarono la sconfitta che sembrava oramai inevitabile. Le città e i villaggi conquistati dai miliziani furono liberati e tornarono sotto il controllo del governo Siriano. Gli orrori compiuti dai miliziani jihadisti furono evidenti a tutti, tranne che alla solita stampa occidentale.
Più tardi, i colloqui di Sochi e Astana congelarono il conflitto lasciando sperare che non sarebbe riesploso. Anzi: il cosiddetto “formato Astana” fu da alcuni considerato come il prototipo diplomatico per risolvere crisi simili ed evitare inutili spargimenti di sangue.
Ingenua illusione
Ci sono voluti 14 anni per fare cadere la Siria in pochi giorni: alla fine il suo esercito ha smesso di combattere e i nuovi miliziani sono dilagati dalla Turchia perché i generali siriani sono stati comprati dagli Occidentali attraverso l’ennesima poderosa operazione di intelligence (sic) e hanno quindi ordinato alle loro truppe di deporre le armi senza opporre resistenza. Questo è il motivo per cui né l’Iran né la Russia hanno potuto fare qualcosa in tempo: il campo era saldamente in mano a Giuda.
A posteriori possiamo dire che l’omicidio a tradimento del generale Soleimani, realizzato il 3 gennaio 2020 su ordine del presidente Donald Trump, fu il primo e più significativo punto di svolta verso la fine della Siria. Soleimani infatti non fu solo un soldato eccezionale, coraggioso e pieno d’onore, ma anche un comandante eccezionale e un genio della logistica. Senza di lui le cose non furono più come prima. La perdita di Haji Qasem suonò come un tremendo campanello d’allarme ma chi ne udì il lugubre suono non prestò sufficiente attenzione o non fu in grado di agire come la situazione richiedeva.
Ci sono naturalmente anche altri motivi
La follia pandemica che abbiamo vissuto noi tutti e dovuta ad una malattia virale diffusa ad arte e le cui cure sono state di proposito negate alla popolazione di buona parte del mondo, ha permesso alla componente più spregevole dello Stato Profondo anglo-americano (in particolare) e occidentale (in generale) di portare alla Casa Bianca un vecchio demente che poteva essere facilmente manipolato. Il piano originale di ridisegnamento dell’Europa orientale e del Medio Oriente ha potuto così continuare e riprendere slancio dopo il suo semplice rallentamento dovuto alla prima presidenza Trump.
La Convenzione di Montreaux, che regola fin dal 1936 il passaggio di navi da guerra attraverso lo stretto del Bosforo e dei Dardanelli, ha impedito alla Russia (in guerra con l’Ucraina) di rifornire Damasco attraverso la via marittima più breve, trasformando di fatto il Mar Nero in un lago al contempo semi-russo e semi-americano. La stessa Operazione Militare Speciale russa si è trasformata velocemente in una guerra d’attrito contro l’Ucraina (localmente) e contro la NATO (globalmente) e questo ha, come era naturale e inevitabile, drenato molte risorse umane e materiali russe. Ora che la Siria è caduta, la Russia ha perso anche le sue basi navali e il Mediterraneo è diventato un lago americano da cui Mosca è bandita, gli altri membri della NATO essendo dei semplici vassalli feudali sempre obbedienti agli ordini di Washington.
C’è poi Israele
Netanyahu ha saputo usare con astuzia crudele l’opportunità offerta dal limitato attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 scatenando in risposta la pulizia etnica finale dei palestinesi da Gaza e dai territori occupati, mediante il loro genocidio organizzato. Hezbollah era di fatto l’unica forza nella regione che fosse geograficamente abbastanza vicina da contrastare l’entità sionista senza timore di essere sconfitta in uno scontro militare aperto. Ma è stata prima invalidata con l’hacking esplosivo dei cercapersone usati dai suoi dirigenti e ufficiali militari (operazione realizzata dall’intelligence israeliana) e poi decapitata con eliminazione completa della sua dirigenza storica con il solito e ben collaudato bombardamento tanto intenso quanto disumano.
La successiva, limitata e apparentemente fallimentare, invasione israeliana dei territori libanesi al confine con Israele è stato il diversivo che ha costretto Hezbollah a combattere in casa propria, restando a ridosso di Israele e tralasciando inevitabilmente la Siria che era il vero punto focale della questione.
Ora che la Siria è caduta, ciò che resta di Hezbollah si trova fisicamente isolato da Teheran perché non c’è più il corridoio di rifornimento di cui aveva sempre beneficiato e che il generale Soleimani aveva migliorato. È quindi solo questione di (poco) tempo che il “Partito di Dio” venga definitivamente sconfitto e il Libano anch’esso smembrato. Scriverei “giusta punizione per certe prostitute mercantili che vivono a Beirut” ma non saranno solo loro a soffrire.
Su molti canali Telegram sono infatti da tempo comparse voci di una “grande Israele” che comprende l’attuale Israele, un pezzo consistente del Libano, della Siria, dell’Egitto e magari di qualche altro Stato della regione: perché limitarsi quando si sta solo che vincendo?
L’Iraq non esiste come Stato da molto tempo e l’Iran ha perso la sua proiezione principale sulla regione. Teheran è stata nel mirino di Washington fin dai tempi della rivoluzione khomeinista e gli Stati uniti non hanno mai nascosto la loro intenzione di riportarla sotto il proprio dominio o distruggerla. Ci sarà un accordo con gli americani e quindi gli israeliani? Sarebbe un tradimento degli ideali della rivoluzione islamica che ha di sicuro migliorato le condizioni di vita del popolo iraniano ma che fatica oramai a reggere il confronto con l’ingannevole seppur accattivante fascino dell’Occidente, così ricco di cheeseburger e account Only Fan. La Guida Suprema iraniana, il grande ayatollah Alì Khamenei, è anziana e non è detto che il suo successore continui la sua linea politica.
Per quanto riguarda la Russia, ora più che mai deve vincere in Ucraina e la vittoria deve essere netta e decisiva. Vladimir Putin ha dimostrato grande autocontrollo, assennatezza e umanità nei suoi rapporti con l’Occidente ma l’Occidente interpreta tutto ciò come debolezza e un’occasione da sfruttare per giungere alla vittoria finale: il dominio sull’intero pianeta.
La vittoria della Russia in Ucraina è quindi fondamentale: ne va del suo destino e, di riflesso, di quello dell’umanità intera.
Costantino Ceoldo